Page 318 - Carlo Alberto dalla CHIESA - Soldato, Carabiniere, Prefetto
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alfonso manzo
di lui e ho visto un grosso zampillo di sangue alto che gli usciva dall’occhio e l’occhio
penzoloni. Diceva: non dite nulla a mia moglie, non mi sono fatto nulla.
Io la sera prima ero stato a casa sua, perché poi ero scapolo e, per tenere coeso il grup-
po, andammo tutti per stare insieme e lui era l’unico in quel momento sposato, per cui
l’attenzione per la moglie, poverina […] Avrei preferito che avessero colpito me. Così
abbiamo risposto al fuoco, finché non abbiamo […]
Lo stesso Gen. dalla Chiesa, audito l’8 luglio 1980 dalla Commissione Parlamentare,
a conclusione di una sintetica descrizione della dinamica dell’irruzione nel covo di
via Fracchia 12/1, facendo implicitamente riferimento alle polemiche emerse su
alcuni organi di stampa sull’esito letale dell’operazione, dichiara:
314 Ci furono – penso che la loro navigazione non sia stata sempre facile e che certe cose
siano comprensibili – degli interrogativi, delle perplessità umane comprensibili, neces-
sarie anche; però le cose […] Io sono convinto, perché credo non solo alle dinamiche,
non solo ai miei uomini ma anche ad una versione che è attendibile e, perché tra l’altro
è stata anche, in buona parte, accertata dai Magistrati intervenuti e se ancora deve essere
decisa e deve essere chiusa, certamente non presta il fianco. Sì, si potrà pensare alla
scarica di fuoco se è stata proporzionale o meno, ma penso che di fronte ad un conflitto,
che uno vada a calcolare i colpi, che uno vada a vedere se chi è stato colpito, aveva
anche una cartuccia che non era partita perché il bossolo, il fondello aveva fatto fiasco,
e quindi se c’era anche l’intenzione di proseguire nel fuoco da parte dell’avversario
[…] E certo che quando mi sono trovato di fronte a questi risultati: sequestro di armi,
materiale, documenti, arresti e catture (non posso parlare se non di uccisi in conflitto
con le forze impiegate), di persone che come Dura nessuno poteva sospettare di trovare
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[…] Si sarebbe potuto pensare di trovare un Nicolotti , perché ci era sfuggito nell’estate
precedente nel corso di un conflitto e che abbiamo invece poi ritrovato a Napoli perché
bruciatosi a Genova (proprio per quel conflitto era stato spostato su Napoli), ma non
potevamo pensare di trovare la Ludmann, che poteva essere e restare solo colei che dava
l’appartamento. Ce ne sono tante di donne che si sono prestate o come prestanome
o come conviventi, o come amiche, o come parenti o come, nel caso di Battagini, che
fa l’impiegato ad Ivrea e affitta, anzi compera un appartamento in cui ci deve stare la
Innocenzi. Insomma, casi molteplici ce ne sono stati e noi non potevamo sapere che
fossero quattro. Sapevamo che potevano essere rintracciati due latitanti o due regolari.
Per Genova è stato un trauma al di là della conclusione cruenta dell’intervento; e
certamente è stato un trauma notevole di carattere psicologico perché era il fulcro di
quella colonna, cui certamente – forse avanzo dei giudizi prematuri, ma […] insom-
ma mi è stato detto che era informale questa prima parte – si devono ricondurre […]
Certamente a loro si devono, cioè, ricondurre una serie di fatti gravi avvenuti in quella
zona, a cominciare da Rossa; per cui oggi si sa che, anziché con un pulmino, si erano
allontanati a piedi perché mancavano duecento metri all’intervento su Rossa; si sa che
il Tenente Colonnello Tuttobene è stato ucciso da questi […] effettivamente insomma
erano i killers, il grosso della colonna genovese (il Betassa da Torino era stato spostato
su Genova). Quando mi sono trovato in mano tutti questi risultati eravamo al 28 del
mese di marzo (n.d.r. 1980). Entro i due giorni successivi ho fatto redigere un referto
che, pur non potendo essere reso ancora ufficiale perché era tutto in corso, diciamo
35 Luca Nicolotti, nato a Torino il 28 agosto 1954, entra in clandestinità nel 1977, facendo parte
della colonna di Genova delle Brigate Rosse, di cui divenne uno dei componenti più importanti
ed esperti. Il suo nome di battaglia era «Valentino». Arrestato il 19 maggio 1980 a Napoli dopo
aver preso parte, insieme con altri tre brigatisti, all’omicidio del politico democristiano Pino
Amato, è stato condannato all’ergastolo.

