Page 319 - Carlo Alberto dalla CHIESA - Soldato, Carabiniere, Prefetto
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Il periodo da Coordinatore del servizio di sicurezza
così, poteva mettere la Magistratura di Torino nelle condizioni di avere un quadro di
quello che era accaduto sulla confessione di Peci.
Dopo l’operazione di via Fracchia i tempi erano maturi perché la collaborazione di
Patrizio Peci passasse dal livello confidenziale a dichiarazioni verbalizzate dalla ma-
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gistratura. L’Ufficiale dei Carabinieri incaricato dal Gen. dalla Chiesa degli incontri
in carcere del terrorista si adoperava per convincerlo a questo ulteriore passaggio.
Pertanto, il 1° aprile 1980, nel corso della traduzione da Torino a Fossombrone,
Patrizio Peci chiese di conferire con la Magistratura. Venne quindi condotto alla
Stazione Carabinieri più vicina, ove, nel volgere di pochi minuti, giunse il Giudice
Istruttore Dott. Giancarlo Caselli, informato della richiesta del Peci. Nel corso di
una lunga deposizione vennero verbalizzate tutte le dichiarazioni del terrorista, in
buona parte già anticipate confidenzialmente ai Carabinieri, che facevano ampia 315
luce sulla struttura della Brigate Rosse, sino a quel momento «intuita ma non ancora
conosciuta», come dirà il Gen. dalla Chiesa nell’audizione dell’8 luglio 1980:
“L’articolazione in colonne, ad esempio, la si conosceva; lo stesso per le brigate, perché
sono le stesse che andai a perseguire nel 1974-75; ma che esistesse una direzione strate-
gica (questo è il punto più importante) e che questa fosse composta da soli capicolonna
e da altri personaggi più rappresentativi delle singole zone in cui la colonna aveva
sede, questo non ce lo saremmo mai attesi; pensavamo soprattutto a colletti bianchi
e a personaggi più variegati, professori universitari, giornalisti, economisti, eccetera,
invece ci siamo accorti che era molto più realistica, molto più alla portata della nostra
conoscenza, perché erano quattordici ed erano tre della Liguria, tre del Piemonte, due
della Lombardia, due del Veneto e quattro del Lazio, con punte incaricate anche per
Napoli e per la Sardegna […] Questi personaggi erano quelli che dibattevano due volte
l’anno (ogni 6-8 mesi) la loro strategia” […]
“[…] Il fronte interno (n.d.r. quello delle carceri) è quello che dettava le direzioni stra-
tegiche, era quello che formulava la strategia da condurre. I capi storici non sono stati
sommersi da un punto di vista della detenzione, sono sommersi da un punto di vista
organico: cioè non fanno più parte dell’organizzazione nel senso che non sono più capi
militanti, non lo sono più perché nel loro organico sono scomparsi, però rappresentano
questi 16, 17, 18 personaggi detenuti nel carcere; i capi storici, rappresentano veramente
la meninge, quella che detta a coloro che si riuniscono e rappresentano la direzione
strategica, la strategia di un determinato momento e di una determinata parentesi”.
Come nota di colore, a questo punto dell’audizione, alla precisazione del Commissario
Lugnano «sarebbe il grande vecchio», il Generale corre con la memoria al periodo
settembre-dicembre 1943, quello in cui si oppose, da Comandante della Tenenza
Carabinieri di San Benedetto del Tronto, ai nazi-fascisti, considerando: «potrebbe
essere il grande vecchio, detto alla tedesca come si è trovato di tasca in quella arrestata
36 La collaborazione di Peci, intanto, si costellava di eventi drammatici. La notte del 28 marzo 1980
i carabinieri irruppero in un appartamento di via Fracchia 12 a Genova, quartiere Oregina. Era
un covo delle BR, cui si arrivava seguendo le precise indicazioni di Peci. Ne nacque una violenta
sparatoria […] Patrizio Peci alla notizia del conseguente conflitto a fuoco a Genova, entrò in
crisi. Mario Griffey (Giudice Istruttore a Torino) ed io lo incontrammo nel carcere di Torino e
faticammo non poco per convincerlo a non cedere. E siamo al primo aprile 1980. Era in corso
il trasferimento di Peci da Torino a Pescara quando – alle primissime luci dell’alba – ricevetti
una telefonata. Peci era fermo nella caserma (dei Carabinieri) di Cambiano, voleva parlare con
un magistrato e verbalizzare tutto. Avvertii i colleghi. Mario Carassi (Capo Ufficio Istruzione di
Torino) designò me e Griffey come giudici istruttori, Bruno Caccia e Alberto Bernardi come PM.
Ci precipitammo a Cambiano. Dichiarazione del Dott. Giancarlo Caselli.

