Page 396 - Carlo Alberto dalla CHIESA - Soldato, Carabiniere, Prefetto
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alfonso manzo
intende sovvertire lo strapotere mafioso e issare, sul pennone più alto, la bandiera
dello Stato e della legalità.
Al suo arrivo trova un gruppo di studenti che pendono dalle sue labbra. E Lui non li
delude. Le testate giornalistiche riportano ampiamente le cronache di quell’inedito
incontro tra un Prefetto e i giovani di Palermo.
I commenti e le opinioni di alcuni studenti del Gonzaga, diffusamente riportati nell’e-
dizione de «L’Ora» di venerdì 4 giugno 1982, sono inequivocabilmente esemplificativi
del pieno conseguimento dell’obiettivo comunicativo del Prefetto. Gli attribuiscono
«un entusiasmo ancora fresco e vitale», l’ottima conoscenza della realtà in cui si trova
ad operare, ma rilevano altresì l’enorme difficoltà ad attuare il cambiamento di men-
talità necessario per contrastare la mafia; esprimono sincero apprezzamento per la
strategia di incidere sui costumi della popolazione palermitana. I ragazzi percepiscono
392 immediatamente quanto il Prefetto dalla Chiesa ami la Sicilia e desideri cambiare
«cose che nella nostra terra sono rimaste immutabili». Lo descrivono tutti come un
uomo sincero, simpatico, con una chiara visione della difficile situazione della città.
Ma gli studenti del Gonzaga sanno anche frenare i facili entusiasmi. Gli chiedono,
infatti, cosa farebbe se gli impedissero di lavorare; sanno che la sua credibilità cre-
scerà se dovesse riuscire a ottenere qualche successo evidente, che ha bisogno della
partecipazione dei cittadini alle sue battaglie antimafia. La linea d’azione del Prefetto
è resa ancor più chiara dalla sua immediata decisione di recarsi subito a parlare con
loro, i futuri cittadini di Palermo. La fiducia dei giovani nel Pref. dalla Chiesa appare
già ben riposta. Uno di loro dichiara alla stampa: «Credo che, per la prima volta,
ci troviamo di fronte a un non-siciliano che capisce i siciliani e riesce a coglierne gli
aspetti fondamentali». Anche la scelta di affidare il delicato e complesso compito di
Prefetto a un militare non li turba affatto, anzi garantisce concretezza nell’affrontare
non solo i problemi di sicurezza pubblica, ma anche quelli «civili».
Anche il «Giornale di Sicilia», l’altra grande testata giornalistica della città, di ispira-
zione politica opposta a quella de «L’Ora», dedica un articolo alla visita dell’Autorità
Prefetto alle scuole. Riferisce che alle 9:30 del 3 giugno 1982, accompagnato dal
Provveditore agli Studi, si intrattiene circa un’ora con gli studenti del Liceo classico
G. Garibaldi.
La scelta di due istituti superiori che formano le future classi dirigenti potrebbe es-
sere stata dettata dalla volontà di affidare a loro valori e obiettivi che potrebbero più
facilmente cogliere e praticare.
Nel suo discorso, il Prefetto «confessa» subito il suo legame con quella scuola: è il
liceo frequentato da due dei suoi tre figli.
Subito dopo, illustra il suo «manifesto» e si concede all’uditorio: «Io credo ancora
che esistano valori, soprattutto perché noi siamo uomini e non numeri. Bisogna
respingere qualsiasi forma di corruzione perché è su questa che si alimenta la mafia
e il vostro condizionamento. Bisogna fare affidamento esclusivamente sulla propria
intelligenza. Sono una fiammella che lo Stato ha voluto accendere su questa capitale
bellissima che è Palermo. Credo nei giovani e sono venuto a Palermo per dare loro
qualcosa: spero di riuscire a creare, con questa mia attività, per lo meno dei dubbi
in coloro che vivono nel marcio, che prosperano sulla corruzione».
E aggiunge: «La mafia è un modo di essere, un modo di pensare che travolge chiun-
que: noi dobbiamo studiare il modo come combatterla. A me non interessano i Prefetti
costruiti sui vari metalli, quello che mi interessa non sono episodi sintomatici di un
fenomeno, non mi interessa scoprire chi è l’autore di un omicidio, ma mi interessa
scoprire che cosa determina l’omicidio, a me interessa il fenomeno».
Sembravano concetti inediti nella Palermo dei primi anni ’80, quasi rivoluzionari,
come è facile dedurre dal dibattito con gli studenti. In realtà, nelle sue parole è facile
ritrovare il c.d. «Metodo dalla Chiesa», costruito durante le formative esperienze