Page 398 - Carlo Alberto dalla CHIESA - Soldato, Carabiniere, Prefetto
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alfonso manzo
Il tempo scorreva veloce e del conferimento dei famosi poteri speciali se ne faceva
solo un gran parlare sui giornali. La mafia, invece, continuava ad attuare il proprio
inesorabile disegno di morte. Il 16 giugno, intorno alle 10, lungo la circonvallazione
di Palermo, poco prima dello svincolo che immette sull’autostrada Palermo-Mazara
del Vallo, un commando assaltò un’autovettura Mercedes condotta dall’autista di una
ditta privata che aveva in appalto il trasporto dei detenuti, Giuseppe Di Lavore, con
a bordo l’Appuntato Silvano Franzolin, il Carabiniere Scelto Luigi Di Barca e il Ca-
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rabiniere Salvatore Raiti , nonché il detenuto Alfio Ferlito, mafioso catanese . Tutti
gli occupanti del mezzo muoiono sul posto. Si trattava di un servizio di traduzione,
partito dal carcere di Enna, ove Ferlito era stato processato e assolto dall’imputazione
di detenzione e porto di munizioni, a quello di Trapani. Era lui il vero obiettivo del
gruppo di fuoco, il cui mandante era Nitto Santapaola, strettamente legato all’ala
394 corleonese che, in quegli anni, aveva avviato una strategia di annientamento delle
famiglie palermitane che non aderivano al loro progetto egemonico. A queste si era
alleato proprio il Ferlito che, pertanto, fu eliminato.
Appresa la notizia, il Prefetto dalla Chiesa si recò immediatamente sul luogo dell’ag-
guato per rendere omaggio ai Carabinieri uccisi. Una foto lo ritrae mentre ritorna alla
sua vettura, visibilmente addolorato, da solo, sotto gli occhi attenti, seppur sconcertati,
del Carabiniere Emiliani della Compagnia di Palermo San Lorenzo. Non mancherà
di partecipare ai funerali dei tre militari e dell’autista della fatale traduzione, svoltisi
a Catania il 18 giugno successivo, alla presenza del Ministro dell’Interno, Virginio
Rognoni, e di quello della Difesa, Lelio Lagorio.
Anche alla luce di questa ennesima tragedia, il Prefetto dalla Chiesa il 10 giugno
1982 inviava un appunto al Ministro dell’Interno nel quale lanciava un vero e proprio
allarme sulla gravità della recrudescenza mafiosa che richiedeva indifferibilmente
l’intensificazione dei servizi di controllo del territorio, con modalità del tutto nuove
rispetto a «quelli ormai frusti o standardizzati», incompatibili con gli organici di Ca-
rabinieri e Polizia di Stato. Quest’ultima, infatti, lamentava gravi carenze numeriche:
469 unità su 2080 Agenti, il cui organico risaliva al 1966. La situazione dell’Arma
dei Carabinieri era analoga, con l’aggravante che un contingente di 150 uomini del
Battaglione «Sicilia» risultava ininterrottamente impegnato in Calabria.
Il Prefetto passò poi a circostanziare la drammatica situazione della sicurezza pubblica
della provincia che registrava 51 omicidi dall’inizio dell’anno, il dilagante fenomeno
della droga che determinava aumenti significativi di rapine e scippi, la libera circo-
lazione di armi illegalmente detenute, la sfrontatezza dei killer che trasportavano
i cadaveri delle vittime assassinate da un capo all’altro della giurisdizione per poi
darvi fuoco. Tutto ciò causava ovviamente una sensazione di assoluta impunità da
parte degli autori di così efferati delitti e, allo stesso tempo, sfiducia dei cittadini nelle
Istituzioni.
17 Sia i tre Militari dell’Arma sia il conducente della vettura furono insigniti di Medaglia d’Oro
al Valor Civile alla memoria.
18 Il feroce assalto fu ordito da Benedetto Santapaola, boss mafioso catanese, che da anni si
contendeva con il clan rivale, facente capo ad Alfio Ferlito, il dominio sul territorio della città
etnea al fine di espletare il controllo sul traffico di droga e armi. L’esecuzione fu responsabilità
dei corleonesi di Totò Riina. Qualora la traduzione fosse stata eseguita a mezzo treno, l’assalto
sarebbe stato compiuto con un’azione clamorosa all’interno della Stazione di Palermo centrale
o di Villabate (PA). A distanza di circa vent’anni dalla strage fu acclarata in modo definitivo la
responsabilità penale di Francesco Paolo Anzelmo, Calogero Ganci, Salvatore Cucuzza, Antonino
Madonia, Antonino Lucchese e Giuseppe Greco detto «Scarpuzzedda».