Page 405 - Carlo Alberto dalla CHIESA - Soldato, Carabiniere, Prefetto
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Prefetto di Palermo
bre successivo. Questo risultato, apparentemente di poco conto, gli consentì invece
di tenere fede all’impegno preso, poche settimane prima, con i genitori dei ragazzi
tossicodipendenti e, al tempo stesso, di dimostrare che anche a Palermo la Pubblica
Amministrazione può funzionare.
8. IL TRAGICO BALLETTO DEI POTERI SPECIALI
Nel frattempo, atteso che i «poteri speciali» promessi al Generale dalla Chiesa prima
ancora che si insediasse in qualità di Prefetto, nel Consiglio dei Ministri del 2 aprile
1982, sembravano definitivamente accantonati, il 10 agosto 1982 ruppe gli indugi e
rilasciò un’intervista, l’ultima, al giornalista piemontese Giorgio Bocca, conosciuto
sin dall’esperienza corleonese degli anni 1949 - 1950. 401
Il Prefetto mise subito le cose in chiaro circa il suo mandato: «[…] sono di certo nella
storia italiana il primo generale dei carabinieri che ha detto chiaro e netto al governo:
una prefettura come prefettura, anche se di prima classe, non mi interessa. Mi inte-
ressa la lotta contro la Mafia, mi possono interessare i mezzi e i poteri per vincerla
nell’interesse dello Stato […]». Circa la puntata un po’ provocatoria del giornalista
sui poteri di coordinamento nazionale promessigli, rispose: «Non mi risulta che
questi impegni siano stati ancora codificati». E alla successiva affermazione di Bocca
circa il fatto che fosse implicito il suo ruolo di coordinatore, replicò secco: «Preferirei
l’esplicito». Il giornalista lo incalzava: «Se non ottiene l’investitura formale che farà?
Rinuncerà alla missione?». Il Prefetto affermò: «Vedremo a settembre. Sono venuto
qui per dirigere la lotta alla mafia, non per discutere di competenze e di precedenze.
Ma non mi faccia dire di più». E aggiunse che EGLI non chiedeva leggi speciali, ma
chiarezza: la lotta alla mafia non poteva essere condotta sul solo territorio di Palermo.
Bocca gli chiese anche quali differenze avesse individuato tra la mafia conosciuta
nelle precedenti esperienze a Corleone e a Palermo e quella di quel momento. Ciò
che lo aveva colpito era il «policentrismo» della mafia anche nel contesto sicilia-
no, di cui era prova evidente il fatto che le quattro maggiori imprese edili catanesi
lavorassero regolarmente a Palermo, evidentemente con il consenso della mafia
palermitana. Sull’omicidio di Piersanti Mattarella, uomo certamente influente sulla
scena politica siciliana, il Prefetto condivideva una profonda convinzione maturata
in quel periodo: «Credo di aver capito la nuova regola del gioco: si uccide il potente
quando avviene questa combinazione fatale, è diventato troppo pericoloso ma si può
uccidere perché è isolato». Rileggere queste parole che suonano come profezia fa
accapponare la pelle. E per rafforzare il concetto fece riferimento ad altri due delitti
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eccellenti, quello del Procuratore della Repubblica di Palermo, Gaetano Costa , e
27 Il 6 agosto del 1980, alle ore 19 e 20 circa, mentre a piedi percorreva la via Cavour venne ucciso
in Palermo il Procuratore della Repubblica, dr. Gaetano Costa. Autore del delitto un giovane di
modesta statura, di corporatura magra che portava sul capo un berretto con visiera. Il killer si
allontanò in fretta verso la via Roma scomparendo alla vista di un testimone. Tre colpi in rapida
successione, in una centralissima strada di Palermo e il dr. Costa si accasciò a terra in una pozza
di sangue e morì poco dopo, in ospedale, senza avere preso conoscenza. Dirà poi, il collaboratore
di giustizia Francesco Marino Mannoia, commentando tale omicidio, che era un omicidio ec-
cellente ma non eccezionale, non difficile perché il Costa era disarmato e senza scorta. Ma fu un
omicidio eseguito con grande professionalità, con perfetta organizzazione come sempre accade
quando la mafia decide di uccidere.
Nel 1978 Costa, nuovo procuratore capo della Procura di Palermo, era arrivato da Caltanissetta
con una dichiarazione che contribuì a isolarlo sempre di più da chi preferiva convincersi che la
mafia non fosse mai esistita: «Non accetterò spinte o pressioni, agirò con spirito di indipendenza.
Cercherò di non farmi condizionare da simpatie e risentimenti». L’unico con cui poteva parlare
senza riserve era il capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo, Rocco Chinnici, che quando divenne