Page 406 - Carlo Alberto dalla CHIESA - Soldato, Carabiniere, Prefetto
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alfonso manzo



                                              del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Genova, Francesco Coco ,
                                                                                                                        28
                                              accomunati da un analogo destino, sebbene l’uno per mano mafiosa, l’altro vittima
                                              del terrorismo. Infine, con una delle sue ultime affermazioni, il Prefetto fornì la chiave
                                              di volta per comprendere fino in fondo la sua strategia di quei giorni, portata avanti
                                              con gli «stessi poteri del Prefetto di Forlì», ma con la determinazione, la tenacia e la
                                              forza di Carlo Alberto dalla Chiesa: «Mi fido della mia professionalità, sono convinto
                                              che con un abile, paziente lavoro psicologico si può sottrarre alla mafia il suo potere.
                                              Ho capito una cosa, molto semplice ma forse decisiva: gran parte delle protezioni


                                              Procuratore Capo ne proseguì l’azione. I due si ritrovavano a discutere delle inchieste in ascen-
                                              sore, il solo posto dove non rischiavano di destare sospetti. Le indagini vertevano sulle famiglie
                                              degli Spatola, dei Gambino e degli Inzerillo, sul filone investigativo che legava la mafia sicula a
       402                                    quella americana, sul nuovo business della droga condiviso dalle due organizzazioni. Era quella
                                              la pista che seguivano investigatori come Boris Giuliano, ucciso dalla mafia il 21 luglio 1979, ed
                                              Emanuele Basile, capitano dei carabinieri della compagnia di Monreale, poi ucciso la sera del
                                              4 maggio un anno dopo. La condanna a morte del giudice scatta la sera dell’otto maggio del
                                              1980. Costa, a conclusione di una riunione di «vertice» di magistrati in procura firma da solo
                                              la convalida degli arresti di 55 mafiosi, in testa Rosario Spatola, fermati quattro giorni prima,
                                              subito dopo l’uccisione del capitano dei carabinieri. Invano aveva cercato di spiegare ai sostituti
                                              l’importanza di dare un segnale forte per porre fine a quella scia di sangue che sembrava non
                                              volersi arrestare. Quel gesto coraggioso, accompagnato da un nuovo impulso nelle indagini di
                                              mafia che metteva il naso sui rapporti bancari dei boss, portò Cosa Nostra ad agire.
                                              Pur essendo l’unico magistrato a Palermo al quale, in quel momento, erano state assegnate un’auto
                                              blindata e una scorta, non ne usufruiva ritenendo che la sua protezione avrebbe messo in pericolo
                                              altri e che lui era uno di quelli che «aveva il dovere di avere coraggio».
                                              28  Francesco Coco, sardo di Terralba, fu il primo magistrato a venir ucciso dalle Brigate Rosse.
                                              Alle 13:30 dell’otto giugno 1976, Francesco Coco esce dalla sua stanza al dodicesimo piano del
                                              Palazzo di Giustizia di Genova assieme all’addetto alla sua tutela, Giovanni Saponara, 42 anni, per
                                              andare a casa. Si infila nella 132 blu guidata da Antioco Deiana, un appuntato dei carabinieri di
                                              42 anni, sardo come Coco, che per la prima volta effettua quel servizio. È un dattilografo-autista
                                              della procura. Il suo autista, l’agente penitenziario Stefano Agnesetta, il giorno prima ha chiesto
                                              un permesso che gli salverà la vita. Li segue una Giulia con tre agenti di polizia. In otto minuti
                                              sono ai piedi della scalinata di Santa Brigida. Coco e Saponara salgono 42 gradoni. Sembrano
                                              padre e figlio che tornano a pranzo. Neanche si avvedono che alle spalle hanno tre uomini che
                                              gli sparano contro 24 colpi. Saponara non ha neanche il tempo di mettere mano alla pistola.
                                              Nello stesso istante, a neanche cento metri dalla scala, un uomo con una sahariana e una borsa
                                              e un coetaneo vestito in blu si avvicinano alla 132 e con le Skorpion silenziate, freddano Deiana.
                                              Una di quelle mitragliette, due anni dopo, ucciderà Aldo Moro. Dopo qualche ora gli omicidi
                                              vengono rivendicati a Savona con un volantino dal sedicente gruppo «Nuovi partigiani». Alla
                                              sera di quello stesso giorno una telefonata anonima afferma che il volantino è falso e attribuisce
                                              la paternità della strage alle Brigate Rosse. Nell’aula della Corte d’Assise di Torino, dove si sta
                                              svolgendo il processo a carico di esponenti delle Brigate Rosse, uno degli imputati legge il mes-
                                              saggio di rivendicazione del triplice omicidio.
                                              L’uccisione di Francesco Coco è strettamente legata alla vicenda del sequestro del magistrato
                                              Mario Sossi e al dibattito che ne seguì sulla opportunità di trattare con le Brigate Rosse che, per
                                              la liberazione di Sossi, pretendevano la scarcerazione dei detenuti del gruppo XXII ottobre. Lu-
                                              nedì 20 maggio 1974, la Corte d’Assise di Appello di Genova attende che sulla scarcerazione il
                                              Procuratore generale Coco dia il suo parere. Nonostante sia partecipe del dramma, il Procuratore
                                              generale scrive «che gli organi giudiziari non dispongono di poteri per provvedimenti giudiziari
                                              fittizi nella speranza di salvare la vita» di Sossi. La Corte di Appello concede invece la libertà
                                              provvisoria e il nulla osta per otto passaporti validi per l’espatrio. L’ordinanza della Corte specifica
                                              che deve essere assicurata l’incolumità personale e la liberazione del dottor Mario Sossi. Quando,
                                              lo stesso giorno, la Corte d’Assise d’Appello dispone il rilascio dei detenuti, come richiesto dalle
                                              BR, Coco presenta un ricorso che blocca la procedura e nega ai brigatisti l’attuazione del loro
                                              ricatto politico. La decisione della Corte d’Appello è subordinata alla incolumità dell’ostaggio.
                                              A liberazione avvenuta, il ricorso del Procuratore verrà accolto, formalmente a causa di alcune
                                              contusioni riportate da Sossi. Il giudice Sossi è salvo, ma il Procuratore generale Francesco Coco
                                              diviene bersaglio della ritorsione brigatista. Verrà ucciso l’8 giugno 1976 (sito dell’Associazione
                                              Nazionale Magistrati).
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