Page 219 - L'Italia in Guerra. Il primo anno 1940 - Cinquant'anni dopo l'entrata dell'Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
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• 'proprio di ciascuno Stato, che deriva da decisioni e scelte circa i princìpi,
i concetti, le regole e le tecniche da seguire nella preparazione e nell'impiego
delle forze per conseguire gli obiettivi contingenti della politica in una deter-
minata situazione e in un certo ambiente" (1).
Nel1940 Mussolini è Ministro di tutte e tre le Forze Arn1ate, e secondo quanto
egli stesso dichiara questo suo monopolio basterebbe, di per sé, ad assicurare quel-
l'impiego coordinato e unitario dello strumento militare che pure en!. stato uno dei
punti qualificanti del programma del regime, culminato nel1926 con la costituzione
di uno Stato Maggiore Generale, che però non dispone dei poteri necessari per im-
primere un indirizzo unitario alla preparazione militare, all'impiego operativo delle
forze e - non va dimenticato - anche al supporto logistico. In tal modo anche
l'organizzazione dei rifornimenti, in presenza di una situazione di estrema scarsità
di risorse, rimane dispersiva e antieconomica. Di fatto, dopo l'entrata in guerra, le
tre Forze Armate rimangono rigorosamente separate e conducono ciascuna la sua
guerra, percorrendo una sorta di binario obbligato che prescinde largamente dalle
esigenze strategiche globali. Dati i molteplici impegni del dittatore, Mussolini Mini-
stro delle tre Forze Armate significa che nella realtà quotidiana non esiste un Mini-
stro e che per tutta la guerra i veri Ministri - particolarmente per l~ronautica
e la Marina- sono i Capi di Stato Maggiore, ambedue molto gelosi della loro «in-
dipendenza» nei riguardi dell'Esercito.
Ne nasce un clima di contrasti tra forze armate che assume forme aperte e vi-
rulente anche sulla pubblicistica militare ufficiale negli anni Venti, che cova sotto
la cenere (non senza qualche significativa manifestazione) negli anni Trenta e rie-
splode dopo i primi eventi della guerra, proseguendo anche nel dopoguerra (2).
Contrasti peraltro fisiologici nelle forze armate di tutti i Paesi, e definiti dal genera-
le di squadra aerea Santoro «un male necessario». Purtroppo, aggiunge il generale,
"il male fu che questi contrasti non riuscirono a dare vita a una dottrina
aerea di base, da tutti o dalla maggioranza accettata, nella quale incanalare
la mentalità, non solo dell'Aeronautica ma anche dell'Esercito e della Mari-
na, e sulla quale indirizzare te costruzioni, la preparazione e l'addestramen-
to. Ed in questo mancò principalmente quello che era stata una grande crea-
zione italiana, lo Stato Maggiore Generale, il quale, per motivi che non è
qui il caso di esaminare, era stato posto in condizioni di risultare pratica-
mente inoperante" (3).
Una dottrina aerea di base non poteva dunque esistere, per la semplice ragione
che mancava una dottrina interforze. Solo l'Esercito aveva precisato la propria dot-
trina con le Direttive per l'impiego delle Grandi Unità del1935, le quali- cosa ri-
marchevole - hanno una visiorie del ruolo generale delle forze aeree assai vicina
al concetto (allora prevalente nell~ronautic~) di preminenza al bombardamento
strategico «indipendente» e a massa contro obiettivi nel cuore della naziòne avver-
(l) C. Jean, Il pensiero stwzlegico, Milano, Franco Angeli, 1985, p. 79.
(2) Sulla dialettica tra Forze Armate dagli anni '\knti al secondo dopoguerra, che ruota intorno a
motivi teorici e pratici largamente costanti, Cfr. F. Botti - V. Dari, Il pensiero militare italiano
hrl il primo e il secondo dopoguerra (1919-1949), Roma, SME - Uf. Storico, 1985.
(3) G. Santoro, L'AemllllUtica italiana. nella Il" guerra mondiale, Roma, Danesi, 1950, p. 19.
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