Page 224 - L'Italia in Guerra. Il primo anno 1940 - Cinquant'anni dopo l'entrata dell'Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
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Questi orientamenti strategici di fondo espressi dal generale Valle meritano un
approfondimento particolare, perché da una parte sostanzialmente ispirano la strate-
gia aerea (o meglio, tendono - spesso senza riuscirei - a ispirarla) nel primo anno
di guerra, e dell'altra hanno implicazioni profonde nel rapporto tra forze aeree e
forze di superficie e sottintendono un profondo retroterra teorico.
In prima approssimazione essi - pur con qualche differenziazione, tra le quali
la principale è il rilievo dato all'aviazione da caccia- riprendono le teorie sviluppa-
te negli anni Venti da Giulio Douhet (12), sostenitore del ruolo decisivo di un'arma-
ta aerea costituita quasi esclusivamente da una massa di grandi bombardieri supe-
rarmati, che impiegando anche i gas e colpendo di preferenza gli obiettivi più im-
portanti e più debolmente difesi, cioè i centri abitati, sarebbe stata da sola in grado
di decidere in poco tempo- quindi economicamente -la guerra. In una prospet-
tiva strategica nella quale l~viazione ricopre un ruolo di arma di distruzione di mas-
sa del tutto analogo a quello attuale del binomio missile-arma nucleare, Esercito e
Marina secondo Douhet avevano un ruolo meramente marginale, difensivo. Perciò
ogni impiego di forze aeree per assicurare loro un concorso diretto avrebbe sottratto
energie al coinpito principale e decisivo dell~viazione, e sarebbe stato «inutile, su-
perfluo e dannoso». Quindi: impiego dell'aviazione indipendente, niente concorso
aereo diretto - specie all'inizio della guerra - per le forze di superficie, niente
difes~ aeree perché la miglior difesa è l'attacco, e tutto ciò che viene sottratto al
bombardamento strategico in ultima analisi ostacola il favorevole esito della guerra.
Queste teorie rimangono sempre sullo sfondo della politica aeronautica tra le
due guerre: a prescindere dalla coerenza o meno delle scelte che ne dovrebbero con-
seguire, esse infatti in un clima di separatezza e accesa dialettica tra Forze Armate
e di scarsità di risorse assegnate all~rma Aerea, ne giustificano la preminenza anche
in termini di bilancio e quindi diventano una pedina del gioco. Anche se non si tra-
sformano in una vera e propria dottrina, esse ricevono un autorevole avallo (rimasto
per forza di cose puramente verbale) da parte di Mussolini, che il2 aprile 1938 di-
chiara al Senato:
«spogliata da ogni passionalità polemica, la visione di Douhet ci appare co-
me quella di un precursore. La guerra dall'alto deve essere condotta in modo
da scompaginare i dispositivi del nemico, dominare il cielo, fiaccare il mora-
le delle popolazioni...» (13).
Va però notato che esse non possono diventare dottrina ufficiale, se non altro
perché sono in contrasto con la stessa legge di guerra italiana del1938 (R.D. 8luglio
1938, n. 1415), oltre che con il codice penale militare di guerra entrato in vigore
il1 ° ottobre 1941. Infatti il titolo Il, capo II, (Artt. 42, 44 e 51) della legge di guer-
ra vieta il bombardamento su obiettivi civili e l'uso di armi chimiche e batteriologi-
che e dispone la protezione di determinati edifici e monumenti, mentre il titolo VI ·.
-capo III (Artt. 174-179) del Codice penale militare di guerra punisce il comandan-
te che ordina o autorizza l'uso di mezzi di guerra vietati, omette i provvedimenti
(12) lvi, pp. 309-457.
(13) B. Mussolini, La difesa armata della Nazione, La Fenice, Firenze-Roma, 1984, p. 17.
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