Page 80 - L'Italia in Guerra. Il primo anno 1940 - Cinquant'anni dopo l'entrata dell'Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
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In fatto di viveri si provvide ad accantonare il massimo consentito dalle capaci-
tà di ricovero e conservazione; si importò carne congelata per non depauperare il
patrimonio zootecnico e si ricorse alla trasformazione dei frigoriferi da conservatori
a congelatori, fino a raggiungere una capacità di congelazione di 6:500 tonnellate
al mese.
Ma sia pure con tanti espedienti e ripieghi, non si poté certamente ottenere
una modifica sostanziale dell'intrinseca debolezza dell'organismo militare per il cui
rafforzamento sarebbe stato necessario poter disporre, anzitutto, di molto tempo ol-
tre che di mezzi più cospicui. Ad incrementare invece la produzione del materiale
bellico doveva provvedere il Commissario Generale per le fabbricazioni di guerra:
carica , questa, nella quale il generale Carlo Favagrossa era subentrato, nell'agosto
1939, all'illustre generale Dallolio, già Ministro delle Armi e Munizioni nella gran-
de guerra.
Il Commissario non tardò a rendersi conto dei limiti fatalmente posti alla pro-
duzione della gravissima carenza di materie prime e dalle crescenti difficoltà di ap-
provvigionamento dall'estero.
Al settembre 1939 le nostre scorte nei settori del carbone e dei metalli erano,
espresse in tonnellate: carbone l. 700.000; acciaio 85.000; minerali di ferro e pirite
1.300.000; rottami ferrosi 187.000; ghisa 92.000; rame 6.500; stagno 500; nichel
250.'
E sufficiente un bilancio tra le cifre citate e quelle del reale fabbisogno per di-
mostrare quanto deficitaria fosse la nostra situazione di partenza· e quali enormi dif-
ficoltà dovessero affrontare le autorità militari per porre qualche riparo al dramma-
tico squilibrio tra esigenze e disponibilità che sarà la causa determinante del collas-
so italiano.
Il fabbisogno di carbone, indispensabile per la produzione siderurgica, era cal-
colato in 17 milioni di tonnellate annue. La produzione nazionale era in grado di
garantirne appena 4 milioni, ragguagliabili a poco più di 2 di carbone estero dato
il contenuto potere calorifico delle nostre ligniti. Mancavano quindi 15 milioni di
tonnellate per coprire il fabbisogno minimo, e sia pure con l'importazione di 12 mi-
lioni di tonnellate di carbone tedesco, l'industria pesante sarebbe stata in sofferenza
comunque, con l'aggravante che le consuete difficoltà valutarie avevano impedito di
costituire quella scorta intangibile di carbone estero pari ai consumi di quattro me-
si, reputata prioritaria necessità.
Né a compensare la grave deficienza di carbone potevano supplire i 18 miliardi
di chilovattora di energia elettrica prodotti dalle nostre centrali nel 1939.
Ancor più gravi erano le carenze di carburanti, in Italia se ne producevano 15
mila tonnellate annue, cui potevano aggiungersi 120 mila tonnellate di greggio alba-
nese, 33 mila di carburanti autarchici e 1,5 milioni di tonnellate importabili annual-
mente da Germania, Romania e Ungheria. Poiché il fabbisogno annuo in ·guerra era
stimato in 8,5 milioni di tonnellate è semplice desumere in quali condizioni ci ap-
prestassimo ad affrontare un conflitto che avrebbe dovuto avere ritmi ultraceleri
con prevalente fisionomia motomeccanizzata.
Non più rosea era la situazione concernente i metalli. Nel1939 le nostre minie-
re fornivano 870 mila tonnellate di minerale ferroso pari a 400 mila tonnellate di
ghisa cui se ne aggiungevano 250 mila ricavate dalle ceneri di pirite. Il fabbisogno
annuo di acciaio assommava invece 4 milioni di tonnellate.
Preoccupante era infine la deficienza dei metalli critici speciali (manganese,
cromo, nichel, molibdeno, tungsteno), correttivi indispensabili per gli acciai, dei
quali eravamo del tutto dipendenti dall'estero.
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