Page 85 - L'Italia in Guerra. Il primo anno 1940 - Cinquant'anni dopo l'entrata dell'Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
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vinto dalla Germania e che la politica di potenza di Mussolini non potesse sottrarla
alla partecipazione bellica, pur nella consapevolezza di una sostanziale imprepara-
zione militare che non appariva condizionante ai fini di una guerra di rapido corso.
Ovviamente, al protrarsi del conflitto ed al profilarsi dell'errata capacità di giu-
dizio del Duce, la condotta politica della guerra e la sua gestione dovevano prendere
altre strade e non insistere in un macabro atteggiamento che sembra indicare una
tragica volontà di autodistruzione.
Durante una guerra è impossibile riparare agli errori tecnici commessi in tempo
di pace, a meno di possedere una industria pesante della potenza di quella degli Sta-
ti Uniti. Non ci riuscirono neppure i britannici, i quali ebbero un carro altrettanto
potente dei Mark IV e V tedeschi soltanto quando Roosevelt donò loro i 300 carri
Shermann che determinarono l'esito della battaglia di El Alamein.
Infine, politicamente è semplicistico asserire che, se i tedeschi avessero invaso
l'Italia, ci saremmo automaticamente ritrovati nel campo dei futuri vincitori. In-
dubbiamente, il Governo, la Flotta e le Forze Aeree- più flessibili dell'Esercito
appiedato- si sarebbero· trasferiti nelle isole e in Libia continuando la guerra. Ma
a parte il fatto che fino al1942- con l'afflusso-delle unità americane- non avreb-
be potuto aver inizio la riscossa e che per tre anni il popolo italiano sarebbe rimasto
sotto H tallone germanico, sottoposto alle stesse atrocità e vessazioni dei polacchi,
non è -detto che a guerra conclusa saremmo stati trattati da vincitori. La Francia
lo fu, malgrado la disfatta del 1940 e la collaborazione con i tedeschi - operante
finanche durante lo sbarco nell~frica del nord del novembre 1942 - perché questo
conveniva alla politica britannica. Londra avrebbe ricordato le guerre di Etiopia e
di Spagna piuttosto che tenuto conto di ciò che avremmo fatto contro la Germania,
così come non tenne conto della «cobelligeranza» allorché non le servì più.
In conseguenza·, nemmeno il Re poteva in quelle circostanze opporsi alla deci-
sione di Mussolini di entrare nelle ostilità.
Psicologicamente, vi è da considerare che nel1940 in Italia permaneva·diffusa
l'opinione che il fattore morale continuasse a conservare preminenza, poiché la
guerra 1915-18 non aveva offerto una dimostrazione dell'importanza decisamente
preponderante del fattore materiale. Mussolini poi, personalmente, concepiva la
guerra come fenomeno dominato dal fattore morale, atteggiamento naturale nell'uo-
mo di formazione spirituale rivoluzionaria che - avendo avuto il solo contatto con
fatto bellico da caporale- non apprezzava convenientemente l'influenza determi-
nante dei fattori intellettuale e materiale. Era il numero degli uomini che contava
- gli 8 milioni di baionette - non la potenzialità economico-industriale e la dispo-
nibilità di risorse. Tragica grettezza di visione e tragici errori di giudizio politico-
strategico conseguenti!
E il solito dissidio fra un esercito di «quantità» ed uno di «qualità»: dissidio
che in una guerra moderna dominata dalla concezione del materiale doveva ben pre-
sto rivelarsi per noi esiziale. .
Il problema tecnico-professionale più indicativo sul quale si rifletteva l'efficienza
dello strumento bellico è quello concernente i carri armati.
Fino al1935 in Germania, Francia e Gràn Bretagna, così come in Italia, l'im-
piego del carro era visto solamente secondo il criterio di sostegno della fanteria e
di appoggio all'esplorazione. Si allestivano perciò due tipi di carri: medi, per la coo-
perazione con la fanteria e leggeri per I 'esplorazione.
In Italia, l'attrazione esercitata dalla frontiera alpina, fece preferire i carri leg-
geri, quali unici idonei ad operare in terreni montani.
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