Page 112 - L'Italia in Guerra. Il secondo anno 1941 - Cinquant'anni dopo l'entrata dell'Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
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lica e il duca sapeva bene che l'Impero si sarebbe trovato isolato e lontano
               dalla madrepatria con un grande numero di uomini alle armi ma con mezzi
               scarsi e scorte insufficienti. Le colonie avvertivano molto più della madre-
               patria le incognite della partecipazione alla guerra; tra i funzionari e i mi-
               litari e tra la sparuta élite coloniale c'era anche un'idea più seria e veridica
               della reale forza dell'Impero britannico. Si ha l'impressione che nelle colo-
               nie l'idea che tutto finisse rapidamente in Europa e che con qualche colpo
               di  fucile ci  fosse  da fare gran bottino in Africa era più una speranza che
               una concreta aspettativa.
                    Dopo la guerra etiopica, non solo l'ex Impero negussista aveva cam·
               biato dominio e volto, ma la conquista aveva anche profondamente muta-
               to la colonia eritrea e quella somala. Se l'Impero etiopico è stato per molti
               avventurieri, arrampicatori di  regime, autentici disoccupati il nostro Far
               West, la  colonia sul Mar Rosso  e quella  sull'Oceano  Indiano sono  state
               anche dopo la guerra del1935-36le basi di partenza per la nuova frontiera.
                    In pochi anni ci furono notevoli cambiamenti soprattutto in Eritrea
               nella crescita delle città, a cominciare da Asmara, la sede del governo, che
               ebbero un ritmo troppo veloce e che costarono molto all'erario e alimen-
               tarono una mentalità spendacciona, facili guadagni degli speculatori, im-
               brogli e arrivjsmo, di tutti i tipi. Si andava affermando la figura del coloniale
               non come colui che investiva il proprio lavoro, le proprie capacità tecni-
               che  e  professionali  e eventualmente il  proprio denaro  nella  colonia,  ma
               come uno che andava oltremare per mettere a segno  "un colpo"  o "più
               colpi" e tornarsene al più presto a casa con il bottino. Tra coloro che non
               avrebbero voluto l'entrata in guerra dell'Italia, oltre a quanti ne vedevano
               realisticamente tutti i pericoli e le e incognite e a quelli c.he temevano che
               il frutto dei loro sacrifici e del loro lavoro andasse perduto, c'erano anche
               questi poco Ònorevoli individui che, per la verità, non erano pochi e, pur
               essendo particolarmente diffusi nelle file della piccola borghesia, non man-
               cavano  neppure nelle  file  della  scarsa borghesia  presente e in  quelle  del
               proletariato.
                    Un quadro d'insieme chiaro ed eloquente è nella relazione del mini-
               stro plenipotenziario Renato Piacentini, già titolare della Legazione ad Addis
               Abeba dal 1919 al  1922, la cui redazione fu  completata a bordo del Vul-
               cania il6 giugno 1942. Il rapporto era destinato a Mussolini e ai Ministe-
               ri dell'Africa italiana e della Guerra e così recita sul morale degli italiani
               durante la  guerra:
                    "Durante la guerra,  lo spirito nalionale e fascista in A. O. l.  è stato, general-
               mente,  depresso.  Sfiducia,  mormorazione,  critiche,  scetticismo,  pessimismo,  malcon-


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