Page 192 - L'Italia in Guerra. Il secondo anno 1941 - Cinquant'anni dopo l'entrata dell'Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
P. 192

non venne più convocato, sino alla richiesta abbastanza perentoriamente
                avanzata  nel luglio  1943  da  Grandi  e  Bottai.

                    Nel secondo- e inizialmente non previsto- anno di guerra (e dun-
                que alla prova suprema) la  'macchina' del regime mostrava insomma di
                non funzionare affatto. Balzava quindi più palese la sua divaricazione nei
                confronti  della  Corona,  circondata da  Grandi  Ufficiali  dello  Stato  nelle
                cui file -  come bene si evince dal repertorio fornitone da Raoul Antonel-
               li -  il fascismo  non era riuscito affatto a penetrare <9>.  Per contro si  mol-
                tiplicavano i segnali che in vario modo e da diverse posizione sollecitavano
               l'intervento diretto del sovrano, per risolvere una crisi che governo, Camere,
                Gran Consiglio mostravano di non essere in grado di prendere sotto control-
                lo  e si  manifestava  quale vera  e propria separazione tra  vertici  del  regime
                e Paese. Anche se non si tramutò subito in contrasto nei confronti del gover-
                no  mussoliniano, la  constatazione che il 'regime' era !ungi dal guidare o al-
               meno  sospingere  il  Paese  verso  il conseguimento  degli  obiettivi  dichiarati
               determinò la generale crisi di sfiducia dei ceti tradizionalmente lealisti e fece
               avvertire la frattura tra governo e 'partito nazionale', cioè tra l'esecutivo (an-
               cora e sempre di nomina e fiducia  del re)  e l'insieme delle forze vocazional-
               mente disposte  ad assecondarlo.
                    Invero  non era la  prima volta che tale divaricazione si  registrava  nella
               storia d'Italia. Nel 1895-96 al governo Crispi si  era contrapposto un blocco
               di forze  contrario alle  misure repressive  per la  tutela  dell'ordine pubblico.
               Costretto, malgrado tutto,  a segnare il passo per il favore  di cui quel presi-
               dente del Consiglio godeva presso re Umberto I, il blocco anticrispino aveva
               infine avuto la  meglio  non per forza  propria ma per la sconfitta delle  armi
               italiane ad Abba Garima. In poche ore il re passò la mano da Crispi a Rudinì.
                    Allo stesso modo, gli scacchi e le pesanti perdite registrate nel  1940-41
               non furono la causa della caduta del fascismo, bensì misero in luce la gracili-
               tà congenita del regime, sovrapposto alla tradizione della monarchia statuta-
               ria,  e  ne  svelò  la  sostanziale inconsistenza.  L'insuperato  storico  dello  Stato
               totalitario,  Alberto  Aquarone,  sin  dal  1965  osservò  che,  ove  non  si  fosse
                cacciato nell'avventura dell'alleanza con la  Germania hideriana e della guer-
                ra, il fascismo  non avrebbe veduto risorgere dall'interno del Paese avversari


                (9)  Raoul Antonelli, Il Ministero della Rea/ Casa dal1848 al 1946, Roma, Segretariato Ge-
                   nerale della Presidenza della Repubblica,  1990. Ma anche M. Mureddu, Il Quirinale
                   del Re,  Milano, Feltrinelli,  1977 ed Elio Providenti, Quirinale tra arte e storia,  Roma,
                   Segretariato  Generale della  Presidenza  della  Repubblica,  1991.


                190
   187   188   189   190   191   192   193   194   195   196   197