Page 235 - L'Italia in Guerra. Il secondo anno 1941 - Cinquant'anni dopo l'entrata dell'Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
P. 235
gerazione doveva aver creato maggiori problemi che non nell'A 13. Essa
doveva esser fornita intermittentemente da due ventilatori collegati con
pompe ad acqua, il cui moto derivava dall'albero tramite un collegamento
a collegamento a catena. Bastava poca sabbia nei congegni perché la catena
saltasse dalla sua ruota dentata, ed accorrevano tre giorni di officina per ri-
mediare. Del pari modeste quantità di sabbia e frequenti surriscaldamenti
mettevano fuori gioco le pompe. E ciò per !imitarci al motore e lasciando da
parte i problemi delle sospensioni, dei dispositivi per lo sterzo ed altro.
Eppure il bistrattatissimo Crusader fu considerato con rispetto dai
tedeschi e non solo per il cannone, il temuto Two Pounder che perforò
bene le corazze dei Panzer fino agli ispessimenti generalizzati solo nella
primavera 1942. Rommel che aveva incontrato il Crusader per la prima
volta a Battleaxe nel giugno 1941, ne apprezzò la velocità < 36 l giudican-
dola superiore a quella dei suoi Panzer III e IV. Con più ragione avrebbe
potuto elogiarne la corazzatura, maggiore di quella tedesca fino, come già
detto, alle battaglie della primavera-estate 1942. Inoltre il Crusader, a dif-
ferenza di tutti i carri britannici tranne il Matilda (e di tutti i carri italia-
ni, nessuno escluso), era per così dire "a crescenza". Infatti nel tardo 1942
poté essere armato di un cannone da 57 mm (6 Pounder) senza bisogno
di ridisegnare l'intero veicolo.
Del resto, tornando agli adattamenti carristici di motori aerei, non
constano lamentele sui propulsori dei carri Grant e Sherman, i vincitori
di El Alamein, equipaggiati coi radiali aeronautici Wright Continental R
975 da 340 hp, derivati dai Bristol proprio come i nostri Alfa 125 e 126
che equipaggiavano i trimotori S 79 eS 81 nonché il radiato, ma pur sem-
pre giacente nei magazzini, Caproni AP l.
Insomma gli stessi propulsori aerei nostri e anglo-americani erano
sicuramente adattabili ai carri armati, con maggiore o minore successo,
con difficoltà di vario grado, ma che valeva la pena di adoperarsi per su-
perare. Eppure nella documentazione militare e industriale italiana non
si rinviene traccia di difficoltà, tormenti, successi ed insuccessi analoghi
a quelli della parte anglosassone. Da noi il problema sembra non essere
esistito. L'unico accenno, incidentale, compare nella Storia dell'Artiglieria:
« ... Si pensò anche di adottare un nuovo motore d'aviazione con opportune tra-
sformazioni: ma anche questa idea fu scartata dai nostri tecnici. Eppure solu-
zioni similari erano largamente in atto nei carri inglesi ed americani con evidenti
vantaggi nei riguardi di una produzione unificata» <37).
(36) B.H. Liddell Hart (cur.), The Rommei's Papers, Londra, Collins, 1953, p. 147.
(37) Comitato, cit., XV p. 551.
233

