Page 148 - L'Italia in Guerra. Il quarto anno 1943 - Cinquant’anni dopo l’entrata dell’Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
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Comando Supremo; non era stata sufficientemente studiata, organizzata
e predisposta da Superesercito e Superaereo; venne decisa dal maresciallo
Badoglio, svegliato di soprassalto a notte inoltrata, sceso dal letto ancora
imbambolato, su suggerimento del generale Giacomo Carboni, da sempre
contrario alla operazione, senza sentire il parere del Capo di Stato Mag-
giore Generale o, in assenza di questi, dal sotto-capo che, a sua volta, avreb-
be dovuto sentire il parere dei due Capi di Stato Maggiore direttamente
interessati all'operazione. Altra decisione fatale fu quella adottata la notte
sul 9 circa il trasferimento da Roma a Pescara del Re, della famiglia reale,
del governo e dei vertici militari. Nessuno può negare la legittimità del
trasferimento, ma ciò che cade in discussione sono: il momento e il moti-
vo, la fretta e la superficialità, la quasi incoscienza, con i quali la decisio-
ne venne presa (unico che espresse il suo parere negativo, e ne aveva ben
donde, fu Ambrosio, che nondimeno obbedì al Re che gli aveva imposto
di seguirlo); la disorganizzazione che caratterizzò l'operazione; le modali-
tà con le quali venne attuata. Un insieme di circostanze e di fatti che die-
dero al trasferimento - locuzione eufemistica in quel caso - il carattere
di una vera e propria fuga o rotta, dalla quale derivò un'impressione ge-
nerale penosa con ulteriore abbassamento del tono morale della Nazione
e delle Forze Armate sentitesi abbandonate. Era certamente un diritto-dovere
quello di sottrarre i vertici politici e militari alla cattura da parte del nuo-
vo nemico e di trasferirli in sede meno insicura, dalla quale continuare
a esercitare la funzione di comando e di controllo, ma i tempi e i modi
con i quali il diritto venne esercitato e il dovere compiuto ne cancellarono
la validità. L'abbandono di Roma ebbe, come conseguenza immediata e
diretta, un ulteriore degrado dello spirito generale di molte unità delle tre
Forze Armate. Il trasferimento risultò agli occhi di molti quasi l'ordine di
rompere le righe e comunque una vera e propria fuga. "Ciò spiega il collasso
morale, intellettuale e fisico del quale anche tanti vecchi soldati, che pur non
erano alle prime armi in fatto di coraggio" - scrisse Zanussi - "si sono
lasciati prendere, collasso che ha raggiunto il punto critico tra 1'8 e il 9
settembre e ha portato all'allontanamento dei capi dalla capitale".< 24 >
"Dulcis in fu n do", ai fini del crollo, della disfatta, della catastrofe: la
mancata difesa e la resa di Roma. La mattina del 9 settembre, Supereser-
cito, che ne aveva assunto in proprio la responsabilità il 5 settembre, la
(24) G. Zanussi, Guerra e catastrofe dell'Italia, Roma, Corso, 1946.
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