Page 153 - L'Italia in Guerra. Il quarto anno 1943 - Cinquant’anni dopo l’entrata dell’Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
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L'8 SETTEMBRE E LE FORZE ARMATE ITALIANE 153
tutta la storia del nostro Stato unitario, per constatarne la grande com-
plessità, debolezza e la difficoltà di sbrogliare l' intricata matassa.
L'8 settembre, figlio naturale del 2 5 luglio, fu peraltro in definitiva
una commistione di ignominiosa doppiezza, di assoluta incapacità e di
estrema pochezza morale dei capi. Taluno ha affermato che "troppo spes-
so gli avvenimenti furono più grandi degli uomini e si posero al di sopra
di essi". Io ho sempre pensato - e continuo a farlo - che furono i capi
politici e militari a non saper dominare gli eventi e a lasciarsi da questi
sopraffare, fino all' obnubilamento della capacità di raziocinio e di quelle
professionali. La disfatta fu il prodotto delle insipienze, carenze, insuffi-
cienze, superficialità e debolezze dei vertici politici e militari e di alcuni
comandanti periferici. Non ha oggi nessun significato dosare il grado di
colpevolezza dell'uno o dell'altro personaggio: i protagonisti furono per
la gran parte molto al disotto dei loro compiti e non esercitarono un' azio-
ne di comando consona alle esigenze, quando non vennero anche meno
agli ordini, come fece Roatta con il non lasciare in Roma uno dei sottoca-
pi di Superesercito e con lo sciogliere "temporaneamente" l'organismo di
comando dell'Esercito, in uno dei momenti più tragici per il paese e per
l'Esercito.
Alle Forze Armate, quali che furono le cause, a quelle ricordate van-
no sommate la valentia dei tedeschi e l'insufficienza politica e strategica
degli anglo-americani, molti attribuiscono la responsabilità della disfatta
militare, e hanno ragione, ma dimenticano che prima ancora le forze mili-
tari furono le vittime più che le artefici della disfatta. Ci si domanda se
chiamate a combattere, anziché a sciogliersi, le unità delle tre Forze Ar-
mate avrebbero risposto all'appello. Là dove fu loro ordinato di fare fuo-
co lo fecero - come a Roma e altrove - spararono s~nza esitazione e
combatterono aspramente e validamente, talvolta contro gli ordini dei co-
mandi più alti, fino a quando non vennero costrette alla resa o non esauri-
rono le munizioni. È l'unica risposta fondata su certezza storica che si può
dare alla sibillina domanda. Non minore disponibilità all'obbedienza, pur
nell'irrompere di sentimenti di ripulsa e di dolore, dimostrò la flotta por-
tandosi a Malta in esecuzione dell'accordo armistiziale.
Il desiderio della pace era senza dubbio preminente, il morale era
molto depresso, l'efficienza operativa ridotta al minimo, eppure furono
proprio i soldati a volere che non andassero in fumo 83 anni di storia
nazionale, costellata di errori e dolori, ma ricca altresì di conquiste e di
vittorie spirituali e materiali. I soldati furono i pionieri della " resistenza"
che ebbe perciò origine militare e in ambito militare.
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