Page 309 - L'Italia in Guerra. Il quarto anno 1943 - Cinquant’anni dopo l’entrata dell’Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
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              agli avvenimenti politici e militari, potrà essere scritta per aggiustamenti
              successivi soltanto quando sarà fatta  piena luce su quegli avvenimenti. E
              dovrà essere il risultato di una ricerca interdisciplinare perché sarebbe pre-
              suntuoso, per lo  storico, affrontare tale materia senza ricorrere al contri-
              buto  degli  specialisti  della  comunicazione  e  dell'informazione.
                   Al  momento sono possibili solo  epidermiche riflessioni  di carattere
              generale.
                   A grandi linee, si può affermare (o meglio ribadire) che la propagan-
              da attuata nell'anno non ebbe alcun effetto, sia sul morale che sullo spiri-
              to  combattivo  delle  truppe.
                   Mancò, infatti, di quel primario requisito e di quella peculiarità che po-
              teva renderla efficace, e che gli studiosi di pubblicismo chiamano "aderenza".
              Completamenti avulsi dalla realtà furono i temi che essa continuò a propinare
              per parecchi mesi al Paese, e quindi anche ai militari, di una possibile vittoria
              finale grazie al valido concorso dell'alleato tedesco contro nemici "plutocrati"
              e "bolscevici". La fede nell'alleato finì nel ridicolo quando agli occhi di tutti
              fu  evidente  che  esso  non  era  -  e  forse  non  lo  era  mai  stato  -  tale.
                   La propaganda militare, in particolare, ebbe effetti controproducen-
              ti su capi e gregari: le continue circolari di propaganda, incerniate sull'a-
              mor di Patria e sull'onore militare (che avrebbero dovuto risollevare animi
              afflitti) per il tono minaccioso e colpevolizzante dei contenuti provocaro-
              no- come abbiamo visto- solo risentimenti e si esaurirono tra l'indif-
              ferenza  totale.
                   Né la disfatta dell'8 settembre ebbe effetti aggreganti, come era suc-
              cesso  nel  1917 con Caporetto: con l'Italia divisa, l'intimo conflitto in cui
              ciascuno venne a trovarsi, il Paese disastrato e occupato, il capovolgimen-
              to  di  fronte  e  obiettivi,  nessuna  propaganda  poteva  prendere  piede.
                   L'unica azione propagandistica, dopo l'armistizio, proponibile e pro-
              posta, fu quella rivolta a coagulare attorno alla monarchia le residue risor-
              se spirituali; ma anche essa, dettata più che sentita, non ebbe la necessaria
              credibilità.
                   Neppure il nuovo alleato, in cui molti avevano riposto le proprie spe-
              ranze, seppe predisporre gli animi: impegnato, nel condurre la guerra psi-
              cologica ad imporre i propri fini,  al  di là  di  ogni  realistica accettazione,
              eluse la scelta di obiettivi ben definiti e preferì non scegliere, in nome di
              una presunta e pretestuosa democrazia. Consentendo, così, la moltiplica-
              zione di divisioni e contrapposizioni, in un Paese e in un momento in cui,
              invece, una previdente attività propagandistica avrebbe dovuto mirare a
              "serrare  i  ranghi" .








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