Page 343 - L'Italia in Guerra. Il quarto anno 1943 - Cinquant’anni dopo l’entrata dell’Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
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               strategia di occupazione, si lamentò con il Ministro delle Finanze, Giam-
               piero Pellegrini poiché i comandi tedeschi preferivano che le  maestranze
               rimanessero  negli  stabilimenti,  anche a  "giocare a  bocce",  piuttosto che
               st  dovesse  "!asciarle  fuori". (3l)
                   Accanto tuttavia a motivazioni inerenti il contenimento dell'opposi-
               zione politica e sociale, vi era un più specifico interesse per le  possibilità
               produttive  delle  aziende  italiane,  che  non  implicava  un  coinvolgimento
               ampio e generalizzato delle imprese, ma costituiva il risultato di una scel-
               ta oculata delle autorità tedesche di una serie di produzioni utili alle Forze
               Armate,  e,  in  primo luogo,  a  quelle  operanti  sul  fronte  italiano.
                   Le  commesse assegnate alle industrie, cioè, furono motivate non sol-
               tanto da preoccupazioni di ordine sociale, ma anche dall'esistenza di una
               industria che stava producendo secondo i programmi stabiliti per il  1943
               e da tempo approvati, le  cui linee di  montaggio  risultavano  funzionanti
               al momento dell'armistizio e con materiali in stato di avanzato allestimen-
               to.  Nel  1943 venivano svolte le  produzioni  di  armamenti impostate  nel
               biennio precedente, ed è anche tenendo presenti le  dinamiche produttive
               che si  deve affrontare il  problema del collaborazionismo. 1'8 settembre,
               si  potrebbe argomentare,  non rappresentò una svolta  dal punto di  vista
               della produzione bellica, dal momento che i tempi della produzione indu-
               striale -  almeno sei mesi perché si potesse completare il ciclo produttivo
               di  un  dispositivo  complesso  come la  maggior  parte degli  armamenti -
               non potevano consentire repentine trasformazioni all'alba del giorno suc-
               cessivo  all'armistizio.



               (31)  G. Bocca, La repubblica  di  Mussolini,  Roma-Bari,  Laterza,  1977, p.  176.  M. Bardi,
                   Nuovi documenti sugli interventi tedeschi nell'industria italiana, ci t., p. 91, ricorda d'altra
                   parre "l'improduttività delle piccole e medie aziende rilevate, subito dopo gli scio-
                   peri del novembre 1943 e senza badare a spese, dalla Fiat: negli stabilimenti assor-
                   biti anziché continuare le vecchie lavorazioni, si 'giocava' a trasportare le macchine
                   da un reparto all'altro paralizzando così completamente la produzione". Per il dato
                   di  500 milioni,  riferito  dal prefetto di  Genova  Basile,  da  assegnare alle  industrie,
                   si veda Archivio Centrale dello Stato, Segreteria Particolare del Duce, b.  21, f.  130,
                   sf. 3. Per la rettifica del dato in 230 milioni, la  distribuzione tra i bilanci delle tre
                   forze armate e i destinatari, cfr. A. Curami, L'industria bellica italiana durante la Rsi.
                   Miti e realtà,  ci t. Il saggio affronta anche la complessa questione della quantificazio-
                   ne della produzione svolta dalle industrie italiane nell'ultima parte del conflitto. Que-
                   ste ultime vantarono infatti crediti da parte delle Direzioni di costruzione delle tre
                   forze  armate largamente superiori a  quanto effettivamente  dovuto.  Che l'estrema
                   scarsità di generi  alimentari  sia  un  problema  centrale  a  Genova,  all'origine delle
                   agitazioni  fin  dal  1942, risulta  confermato da A.  Gibelli,  M.  Bardi,  "Genova",  in
                   Autori vari, Operai e contadini nella crisi italiana del1943-1944, Milano, Feltrinelli, 1974.









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