Page 497 - L'Italia in Guerra. Il quarto anno 1943 - Cinquant’anni dopo l’entrata dell’Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
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Pavolini e che trovava i suoi esponenti di punta nei vecchi leader del passato
Regime posti al vertice dello Stato: Ricci, Buffarini-Guidi, il Ministro della
Cultura Popolare Fernando Mezzasoma. Facendo leva sulla base intransi-
gente, sul revanscismo dei vecchi squadristi e sull'entusiasmo estremista
dei più giovani, la destra, pur non respingendo i presupposti "socialisti"
della RSI, ostacolava qualsiasi tentativo di conciliazione proposto dalla com-
ponente liberale e, ribadendo il ruolo centrale del Partito, negava che esso
- come viceversa sostenevano gli esponenti della sinistra - potesse ave-
re un ordinamento interno democratico. Pur divisa al suo interno dalle
gelosie personali (contrasto Buffarini-Pavolini e Pavolini-Ricci), la corren-
te "gerarchista" trovava la sua unità nell'ostacolare i progetti rivoluziona-
ri degli altri gruppi. Forte di un seguito tra le Squadre d'azione e tra le
formazioni irregolari sorte all'indomani dell'armistizio, la destra manten-
ne il controllo quasi totale del Partito e della Repubblica, subordinando
qualsiasi dibattito politico ed istituzionale alla vittoria sul campo contro
gli Alleati ed il movimento partigiano. La divisione originaria tra "verti-
ce" e "base" si sarebbe dunque trasformata in una vera e propria spacca-
tura tra un ceto intellettuale moderato, proiettato ora verso la pacificazione
nazionale ora verso la socializzazione integrale, ed una moltitudine di atti-
visti pronti a punire duramente traditori e ribelli, con il sostanziale ap-
poggio dei vecchi gerarchi. "In materia di politica interna e di rapporti
con gli avversari o gli ex avversari", scrisse Pavolini in un "Foglio d' ordi-
ne" alle federazioni il 5 ottobre, "non si deve indulgere a troppi generici
appelli all'abbraccio universale". Gli fece eco "Il Fascio", giornale della
Federazione milanese del PFR: "Non è l'ora della penna, ma della spa-
da".<40l L'estremismo si sarebbe presto scatenato. Lo stesso Mussolini di-
mostrò piu volte il suo disappunto verso gli episodi sempre piu numerosi
di violenza. La notte di Ferrara fu per il Duce "un atto stupido e bestia-
le"; e Dolfin, commentando la frase di Mussolini, non poté che fotografa-
re la spaccatura: "Il controllo delle provincie sfugge in gran parte all'azione
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del Governo".< l È ancora Dolfin che ci riporta una quanto mai profeti-
ca considerazione di Mussolini sulla stagione di violenza che si stava apren-
do: "La cosiddetta corsa alla 'purità' è sensibilmente pericolosa anche per
coloro che la richiedono. Né vorrei che coloro che invocano i plotoni d'e-
secuzione in ogni piazza d'Italia, fossero domani i primi ad essere travolti
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dalla psicosi che accompagna sempre questo genere di faccende". < l
(40) G. Mayda, "La lunga notte di Ferrara", in: Storia Illustrata nr. 200, luglio 1974, p. 33.
(41) G. Dolfin, Con Mussolini nella tragedia, cit., p. 96.
(42) Ibidem, pp. 33-34.
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