Page 517 - L'Italia in Guerra. Il quarto anno 1943 - Cinquant’anni dopo l’entrata dell’Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
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                glia,  con compiti polizieschi, piuttosto che  a svolgere un ruolo bellico  in
                qualche  modo  significativo.
                     Nell'ambito delle Brigate Nere (ossia del partito) ma con caratteristi-
                che  da  bande di  capataz  messicani,  vanno  collocate  formazioni  come  la
                Legione Muti di Milano, comandata da uno squadrista che il Partito fasci-
                sta aveva a  suo tempo espulso per precedenti penali (omicidio colposo e
                malversazioni),  Francesco Colombo,  autonominatosi  colonnello e distin-
                tosi per uniformi assolutamente fuori ordinanza, anch'esse di stra vagante
                impronta latino-americana. Con la Muti si entra in realtà nell'ambito delle
                "polizie" di Salò; repubblichette dell'inquisizione, della tortura, dell'ucci-
                sione e anche della malversazione, tra le quali correvano pessimi rappor-
                ti:  così  che  Pietro  Koch,  capo  della  famigerata  banda  Koch  sparlava  di
                Colombo, reciprocato. A loro volta gli  organismi istituzionali del partito
                si sforzarono di mettere in riga questi irregolari sempre prevaricatori, spesso
                feroci, facendo un po' di pulizia. Ma in quel momento e in quell'ambiente
                c'era anche bisogno di questi bassi servizi, e così l'eliminazione delle for-
                mazioni  "speciali" incontrava il  più delle volte opposizioni risolute. Ma
                dall'ambito delle Forze Armate degne di questo nome si passa, con forma-
                zioni sul tipo della legione Muti e della "banda" Koch,  a un ambito diver-
                so, oscillante tra il poliziesco e il delinquenziale. E questo esula dai propositi
                delle  righe  che  siamo  andati  scrivendo.

                     Disordinati residui d'un passato ormai irripetibile o nuclei velleitari
                d'un futuro  improponibile e del  tutto  illusorio,  le  Forze Armate di  Salò
                raggiunsero, numericamente, una consistenza che poteva anche essere va-
                lutata qualche centinaio di migliaia d'uomini. Mancavano tuttavia del re-
                quisito  psicologico  indispensabile  ad un  Esercito,  la  speranza:  e  inoltre
                di molte caratteristiche d'una struttura razionale. Se quei reparti ebbero,
                nella prospettiva fascista,  una qualche utilità, si  trattò d'una utilità riser-
                vata esclusivamente alla lotta contro i partigiani. Per il resto -  anche quan-
                do fu  caratterizzato da atti  di valore -  il loro  apporto agli  avvenimenti
                bellici fu,  lo  ripetiamo, trascurabile:  così  come il  ruolo  della  Repubblica
                Sociale  Italiana. Solo  un Mussolini  che  non s'illudeva ma fingeva  d'illu-
                dersi  poteva,  ancora  nel  marzo  del  1945,  pronunciare  frasi  insensate
                davanti a uomini della  Guardia Nazionale Repubblicana: "Se  poi gli av-
                venimenti  ci  permettessero di  irrompere oltre Appennino (nessuno  può
                escluderlo)  io  credo  che troveremo  un'ondata di  entusiasmo  come forse
                non supponiamo nemmeno". Vaneggiamenti che non erano nemmeno ta-
                li:  erano una malinconica recita, sull'orlo dell'abisso che ingoiò Hitler, Mus-
                solini,  la  Repubblica  Sociale  Italiana  e le  sue  Forze  Armate.









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