Page 519 - L'Italia in Guerra. Il quarto anno 1943 - Cinquant’anni dopo l’entrata dell’Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
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                   Pur riconoscendo, per esperienza diretta, che la maggior parte di co-
               loro che poterono ascoltarlo, avrebbero voluto un'indicazione più precisa
               sull'identità del possibile nemico da combattere- indicazione alla quale
               ufficiali  e soldati avrebbero certamente ubbidito,  fedeli  all'etica militare
               delle nostre Forze Armate- pure non riesco a distaccarmi dalla convin-
               zione che con una maggior chiarezza molte situazioni avrebbero avuto un
               diversG  sbocco.
                   In altri termini il proclama di Badoglio, pur fiacco e burocratico, era
               sufficientemente indicativo sulla  provenienza di  una possibile  minaccia.
                   Comunque, a conferma dello spirito di ubbidienza che informava le
               nostre Forze Armate, va ricordato che là dove ci fu  una precisa posizione
               dei comandanti, anche di piccoli reparti, la rispondenza dei soldati all'or-
               dine di combattere i tedeschi fu  superiore ad ogni previsione, in partico-
               lare per quanto riguarda la  Marina che  diede prova di  una compattezza
               esemplare.  In  altri  casi,  come  per l'Esercito  posto  di  fronte  a  situazioni
               diverse,  ci  furono  dei  ritardi  ma  non  delle  rinunce.
                   È certo che mancando un minimo di compattezza nelle Grandi Uni-
               tà -  frastagliate in un impressionante numero di presidi, talora fino alla
               semplice squadra- e mancando quasi sempre la possibilità di rapidi col-
               legamenti, si determinarono numerosi casi di sbandamento, conseguenza
               inevitabile non solo -  come si è detto -  di situazioni estremamente dif-
               ficili ma anche di disinformazione o, meglio, di errate informazioni forni-
               te dai movimenti di liberazione locali che enfatizzando la fine della guerra
               non avevano altro scopo immediato che quello d'impadronirsi delle armi.
                   Sia in Italia che in Balcania i tedeschi operavano con ordini precisi,
               per reparti, ben motivati e, soprattutto, con idee chiare. Le misure da essi
               adottate miravano prima di tutto al disarmo delle unità e dei presidi ita-
               liani  nel  più breve  tempo  possibile  e  senza  grossi  sacrifici.
                   Pur di raggiungere questo obiettivo non si  formalizzarono sui meto-
               di da seguire. In Italia pesava su questo loro comportamento il  timore di
               essere  schiacciati tra  due fronti,  quello  degli  Alleati  che  avanzavano  dal
               sud e quello -  ancora ipotetico, ma possibile -  di  un Esercito  italiano
               capace  d'impegnarli  dal  nord.
                   Tutte le testimonianze, le  dichiarazioni raccolte, le  ricostruzioni sto-
               riche, le pubblicazioni -  tra le quali molto obiettive anche quelle del Mi-
               nistero Difesa -  riportano il crollo di intere Grandi Unità, addebitando
               ai  tedeschi  colpi  di  mano,  attacchi  improvvisi,  inganni,  posti  di  blocco








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