Page 534 - L'Italia in Guerra. Il quarto anno 1943 - Cinquant’anni dopo l’entrata dell’Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
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GLI INTERNATI MILITARI IN GERMANIA 531
perché in tempo di guerra non può un belligerante catturare e trattenere
persone appartenenti alle Forze Armate di un belligerante avversario se
non in quanto sono o le considera spie o prigionieri di guerra. E belligerante
avversario diveniva di fatto, per gli atti di ostilità che le Forze Armate
italiane compievano [già 1'8 settembre}, il Governo italiano che si era schie-
rato a favore dei governi Alleati.
Internare quei nostri connazionali e sottrarli alla protezione della Con-
venzione di Ginevra non poteva dunque essere e non fu che atto di odiosi-
tà, di reazione inumana contro il sentimento e il gesto dei nostri soldati
al governo legittimo d'Italia, si potrebbe quasi dire una specie di rappre-
saglia ingiustificata che il diritto delle genti e il sentimento umanitario non
possono non condannare".
Per quanto concerne in questo contesto il difficile problema dei dati
numerici sugli internati militari basti soltanto dire che all'inizio del feb-
braio del 1944, quando i dati statistici sembrano essersi stabilizzati, ne
vennero registrati in tutti i campi di prigionia della Wehrmacht pressappo-
co 608 000: esclusi gli allora 8 500 prigionieri italiani sul fronte orientale.
Fino al luglio di quell'anno, mese a cui risale l'ultimo quadro complessivo
disponibile, prima che, nell'agosto successivo venisse impartito l'ordine
di conferire alla maggior parte degli internati lo status di lavoratori civili,
il numero dei militari italiani catturati si era ridotto a 590 000; una dimi-
nuzione del tutto irrilevante che prova - come già accennato - il deciso
NO degli internati alla collaborazione sia con Hitler che con Mussolini.
Il trattamento degli internati militari
Dato il fatto che gli uomini erano il guadagno più prezioso dell' enor-
me bottino che la Wehrmacht ricavò nel contesto del disarmo delle truppe
italiane e dell'occupazione dell'Italia, ci si sarebbe dovuti aspettare che
il trattamento degli italiani in mano tedesca fosse in linea con l'importanza
che essi avevano per la strategia nazionalsocialista. Infatti il feldmarescial-
lo Wilhelm Keitel, Capo del Comando Supremo delle Forze Armate tede-
sche, definì l'inserimento dei prigionieri italiani nell'industria degli
armamenti tedesca già verso la fine del settembre 1943 un " imperativo
dell'autoconservazione del fronte" .(7) Tuttavia dalla lettura delle fonti uffi-
(7) Adjutant des Chefs des Generalstabes des Heeres [ajutante del Capo di Stato Mag·
giore dell'Esercito} n. 3430/43 g.Kdos., H. Qu. GenStdH, den 26.9.1943, copia di:
OKW/WFST/Org (II) n. 2982/43 g.Kdos., gen. Keitel, BA-MA, RH 6/637.
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