Page 536 - L'Italia in Guerra. Il quarto anno 1943 - Cinquant’anni dopo l’entrata dell’Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
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GLI  INTERNATI  MILITARI  IN  GERMANIA                             533

                    Gli uomini sopravvissuti al disarmo ed alla deportazione raggiunse-
               ro  prima  o  poi  uno  dei  numerosi  campi di  concentramento  nel  Reich  o
               nei  paesi  occupati.  E gli  internati  militari  fecero  qui,  come scrisse  Gio-
               vannino Guareschi, la sconvolgente conoscenza della Signora  Germania.  Il
               diario del famoso umorista rappresenta una delle più amare testimonian-
               ze  dell'internamento militare.0°>  Con l'arma del  sarcasmo Guareschi  dà
               forma  letteraria a  ciò  che molti  prigionieri sperimentavano:  il  disprezzo
               da parte della maggioranza dei tedeschi con cui venivano in contatto, l'u-
               miliazione dello  scherno e dell'insulto,  il  confronto con esseri umani che
               sputavano loro  addosso  o  addirittura li  aggredivano  fisicamente.  Il  per-
               corso che conduceva ai campi ed in particolare la marcia attraverso le cit-
               tà sembravano, non di rado, trasformarsi psicologicamente in un passaggio
               obbligato  sotto  le  forche  caudine.
                    Scrive per esempio Lino Monchieri- riguardo all'incontro con i te-
               deschi -  nel suo diario di prigionia: "Smontiamo alla  stazione centrale
               di  Hannover,  rovinata  dalle  bombe  e  dagli  incendi.  ( ... }.
                    Ci  fanno  sfilare per le  vie  della  città. La gente non fa  complimenti;
               ci  insulta,  ci  maledice,  ci  chiama traditori, ba dogliani:  'Verrater!'  Bado-
               glio!  Da una finestra, una vecchia digrigna i denti e mostra la lingua. Al-
               cuni giovani ci coprono di sputi. I bambini ci sbeffeggiano" . E l'internato
               bresciano continua:  "Le donne e i ragazzi,  almeno a giudicare dalle  rea-
               zioni nei  nostri confronti, sembrano più fanatici  e crudeli. Un ragazzino
               che portavo in collo, fuori dallo scantinato invaso dal fumo, mi ha sputato
               addosso, chiamandomi: 'Schweincomunist!', porco comunista. Le ragazze
               poi  non  ci  possono  soffrire.  Mostrano  il  loro  disprezzo  con  insulti". O l )
                    Chi  non voglia prestar fede  ai  racconti degli  internati militari vada
               a consultare i rapporti segreti sulla situazione del Servizio di sicurezza delle
               SS,  le  cosiddette comunicazioni dal Reich.  Secondo detta raccolta di  reso-
               conti -  attendibile -  una gran parte dei tedeschi  non voleva  accettare
               "un trattamento umano e comprensivo" verso gli internati. Questi incon-
               travano da parte della popolazione "dappertutto gelido rifiuto e disprez-
               zo".  In  tutti  gli  ambienti  si  provava  "odio"  per  loro.  Alcuni  volevano
               insegnare agli italiani a lavorare alla maniera tedesca, "anche se ciò li avreb-
               be fatti crepare". Parlavano così dei normali operai che intendevano affidare


               (10)  G.  Guareschi,  Diario  clandestino  1943-1945,  Milano,  Rizzoli,  1990,  p.  45  e  sg.
               (11)  L.  Monchieri, Diario di prigionia  1943-1945, presentazione di V. E. Giumella, Bre-
                    scia, La voce dei popoli,  1985, p.  33 e 36; ed id., Lettera a Hinrich, Brescia, Edizio-
                    ne  ANEI,  1991,  p.  18.                                       .









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