Page 549 - L'Italia in Guerra. Il quarto anno 1943 - Cinquant’anni dopo l’entrata dell’Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
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               che gli sembrò un inferno: " Non appena [oltrepassò} la soglia dell'ingres-
               so" si accorse di "un tanfo di chiuso e di lordura indescrivibile" da toglie-
               re  il  respiro.  Gli venne "incontro un capitano con la  divisa  malandata e
               sudicia"  a  dargli  "il benvenuto  ed  a  presentarsi,  mentre  una  settantina
               di volti di altri ufficiali e soldati" lo squadrarono e fecero altrettanto: "volti
               sparuti, macilenti, solcati dai segni della fame, delle sofferenze e della ma-
               lattia. La maggior parte" erano "sospetti di tubercolosi" ed in attesa della
               "loro condanna". Inoltre c'era "qualcuno colpito da altri mali e qualche
               altro sventurato privo di uno o più arti per infortunio sul lavoro; in poche
               parole tutta gente che ai  tedeschi  non [servì}  più e quindi abbandonata
               forse  per  non ucciderla,  forse  per  farla  soffrire,  forse  ...  chi  sa  perché".
                    Il tenente fu  "tempestato di domande" . V no chiese:  "Ma cosa man-
               giavi tu che sei così florido  - florido  nei loro  confronti."  E lui ebbe diffi-
               coltà a farsi  "intendere perché questa gente racchiusa da mesi nell'antica-
               mera della morte" aveva "perso anche il senso della misura, tanto che uno
               con eccitazione" osservò: "ma non parlare di piatti, parla di gavette. Ar-
               rivava al bottone o meno? Era densa la zuppa? V'erano molte patate? Era-
               no  sbucciate?"
                    Nel cosiddetto ospedale lavoravano,  sotto  il  controllo di un medico
               tedesco,  medici  italiani,  i  quali  però  non  ebbero la  possibilità  "di  dare
               l'assistenza necessaria ai  malati, per mancanza di  mezzi".  I tedeschi  non
               passarono più niente,  "neppure i medicinali". Ed  il  Bozzini  vide  infatti
               "morire  un  S.  Tenente  per  mancanza  di  siero  antidifterico".
                    Nel campo -   in totale fra  ufficiali, sottufficiali e truppa -  vi furo-
               no "circa un migliaio di tubercolosi e pochi altri sventurati". Esistè anche
               una baracca dove vennero  "isolati alcuni  ai  quali  è sopravvenuta la  de-
               menza".  Secondo  questo  racconto  fu  assolutamente  "impossibile descri-
               vere lo  strazio morale e le  sofferenze fisiche  di tutti questi sventurati che
               oltre a  patire la  fame  ed  i maltrattamenti",  non  potevano  "dormire du-
               rante la  notte per la  quantità iperbolica di  cimici"  che pullulavano  "nei
               giacigli, per la durezza degli stessi giacigli sprovvisti di paglia e per il ru-
               more che alcuni [facevano} nel prendere ed uccidere grossi topi che il giorno
               seguente"  cucinavano  e  mangiavano  "appetitosamente".
                    Sempre secondo  il  tenente  Bozzini  morirono  "in media  da  quattro
               a  sei  persone al giorno"  e si  dovette  "assistere alla  scena  pietosa,  triste,
               raccapricciante il litigio dei vivi che, come lupi famelici si gettano su ogni
               cadavere per prendere chi la giacca,  chi  i  pantaloni,  chi  la  camicia e gli
               altri  stracci  per  arrangiare  con  questi  i  propri".








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