Page 565 - L'Italia in Guerra. Il quarto anno 1943 - Cinquant’anni dopo l’entrata dell’Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
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                falcidiati  dalle immense perdite precedenti,  ma anche quella,  non elimi-
                nabile, che nasceva dalla sua inadeguatezza intellettuale ad una guerra mo-
                derna. La  classe degli ufficiali,  dal brillante Tukacewsky in giù, era stata
                fisicamente  soppressa  nel  1938,  con  la  fucilazione  o l'invio  ai  campi  di
                45 000 ufficiali di grado superiore, ed ora,  cinque anni più tardi, le  Ar-
                mate erano comandate da generali  che  erano semplici capitani all'epoca
                della purga militare. Fino a Stalingrado, si era trattato soltanto di resistere,
                ed i soldati ed i Comandi dell'Armata lo avevano fatto con valore, anche
                se  avevano dovuto abbandonare in mano tedesca poco meno che cinque
                milioni  di  prigionieri.  Ma quando,  dopo Stalingrado,  si  dovette passare
                all'offensiva su un fronte di 2500 chilometri, il peccato originale del1938
                venne forzatamente alla luce, e non vi si poté porre altro rimedio che pro-
                seguire  in  quel  colossale  sperpero  di  vite  umane,  dei  soldati,  ma  anche
                dei  civili,  che è e rimane l'origine prima della  "catastrofe demografica"
                sovietica,  con  tutti  i  suoi  effetti  di  lungo  periodo.
                    Ovviamente, questo tipo di analisi non era fattibile né illustrabile ra-
                zionalmente  all'inizio  del  1943,  e del  resto  lo  è  pochissimo  anche  oggi.
                Ma è indubbio che l'opinione pubblica media di casa nostra non commi-
                se allora errori sostanziali nella valutazione di quanto era successo all'est.
                A marzo, con la  riconquista di Kharkov e la lunga stagnazione del fronte
                fino al 4 di luglio, parve chiaro che la partita orientale fosse ancora piena-
                mente  aperta,  con  molte  soluzioni  possibili.
                    In Italia, i disastri nordafricani e quelli di Russia sfociarono in una
                reazione silenziosa, ma così unanime e persuasa da determinare in prati-
                ca  il  corso  degli  avvenimenti  sino  all'armistizio.  Nel giro  di  pochissime
                settimane, forse di pochissimi giorni, quelli che vanno dalla battaglia del-
                l'  Akarit sino alla caduta di Tunisi, la  Direzione fascista  e personalmente
                Mussolini persero nel giudizio collettivo anche quel residuo di  delega fi-
                duciaria  che  era loro  rimasto  nel  1941  e  1942. Il  distacco  era  in  realtà
                avvenuto, anche questo silenziosamente, già nel  dicembre  1940, con l'a-
                vanzata dei greci  su Valona,  il  disastro  di  Graziani in Libia e la  perdita
                di metà della Flotta a Taranto. Tuttavia, il Paese aveva concesso una pro-
                va d'appello, rendendosi conto delle difficoltà e degli imprevisti di un con-
                flitto  molto  duro,  nel  quale  era  dunque  ammissibile  commettere errori,
                anche gravi. In più le travolgenti vittorie tedesche in Russia, e quelle suc-
                cessive del Giappone nel Pacifico, avevano inserito nei calcoli degli italia-
                ni  il  correttivo della  buona compagnia.  Non era granché, ma una lunga
                Storia ci  aveva  reso familiare il concetto che i primi attori erano comun-
                que  e  sempre gli  altri.









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