Page 566 - L'Italia in Guerra. Il quarto anno 1943 - Cinquant’anni dopo l’entrata dell’Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
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PRIME  ATTIVITÀ  PARTIGIANE:                                      563


                    A maggio del  1943, il cumulo degli errori commessi, portò a conclu-
               dere che nessuna conciliazione era più possibile tra una difficile salvezza
               dell'Italia e la permanenza del fascismo e di Mussolini alla direzione.  Era
               evidente che la guerra era stata condotta nel peggiore dei modi, con risul-
               tati nefasti:  ma ancora più evidente era l'incapacità della dirigenza fasci-
               sta di dare una risposta franca e determinata alle necessità del momento.
               Le parole, monotone e logore, non potevano costituire questa risposta. Quel-
               le  che vennero  dette in  quei  mesi,  suonarono  non  come una incitazione
               alla  speranza,  ma  come  un'autoliquidazione  volontaria.
                    Il 25 luglio nacque e fu  possibile su questa base, che non fu  il neces-
               sario trampolino per l'uscita dalla guerra, ma -  al contrario -  la  recu-
               perata anche se ridotta speranza che eliminata la causa degli errori, divenisse
               percorribile la  strada di  una maggiore efficienza.  Con un moto assoluta-
               mente spontaneo e non preordinato, le popolazioni di tutta Italia si strin-
               sero attorno ai soldati, all'indomani del colpo di Stato, in manifestazioni
               di fiducia così evidenti nel loro significato profondo, da non trovar posto
               alcuno, nelle ricostruzioni di poi, appunto per l'impossibilità di conciliarne
               il  senso  con  la  tragedia  del  settembre.

                    Non è ancora  stato  dimostrato  in modo  irrefutabile  che  la  Monar-
               chia e Badoglio abbian mandato ad effetto l'eliminazione del Regime co-
               me preliminare all'uscita dalla guerra. Proprio Vittorio Emanuele, ma anche
               il suo Maresciallo, erano ben consci degli enormi pericoli connessi ad un
               simile doppio  tempo  per antiche e di certo non dimenticate esperienze. Tre
               giorni dopo Caporetto, quando ancora le dimensioni reali del disastro non
               erano ancora state valutate appieno, quattro divisioni francesi, seguite da
               due britanniche, avevano varcato di corsa la frontiera del Piemonte, por-
               tandosi a Vicenza e sul Mincio, tuttavia senza entrare in linea. A Taranto,
               i britannici avevano immediatamente mosso la vecchia corazzata Queen in
               modo tale da impedire l'uscita in mare delle nostre unità pesanti, ed ave-
               vano fatto affluire in città, con il pretesto di una rotazione negli equipaggi
               -anch'essi britannici- impegnati nella catena di sbarramento del Ca-
               nale  di  Otranto, più di  3000 uomini  armati  di  pistole mitragliatrici.  In
               quel  delicatissimo  frangente,  l'Intesa  si  era  prospettata  con  chiarezza  la
               terrorizzante  possibilità che  l'Italia  fosse  costretta  a  scendere  a  patti  col
               suo  nemico  austro-tedesco,  imprimendo  una svolta  fatale  all'intero  con-
               flitto.  A Peschiera, Vittorio Emanuele aveva avuto davanti a sé assai me-
               no alternative di quanto storicamente non si tramandi. Ventisei anni dopo,
               in una situazione per molti versi identica, non poteva essersene dimenticato.









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