Page 571 - L'Italia in Guerra. Il quarto anno 1943 - Cinquant’anni dopo l’entrata dell’Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
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               gli altri belligeranti le  stesse nostre angoscie e miserie,  e fummo convinti
               che ognuno dei popoli coinvolti nel turbine fosse quanto noi incline a porre
               termine ad un conflitto,  che sarebbe invece  durato  ancora diciotto  mesi
               in Europa e ventiquattro in Estremo Oriente. Come oggi sappiamo, questo
               strabismo previsionale afflisse  praticamente tutta la  dirigenza succeduta
               a quella fascista, che del resto ne aveva già sofferto in misura larghissima.
               Non tanto nella valutazione degli esiti finali del gigantesco conflitto, quanto
               in quella dei suoi singoli momenti. L'armistizio venne chiesto non soltan-
               to  quando l'alleato tedesco  era ancora forte,  cioè nel momento in cui gli
               era possibile utilizzare una riserva strategica consistente: ma anche quan-
               do eran deboli i futuri  alleati,  che stavano in pratica svuotando il  Medi-
               terraneo  di  mezzi  ed  uomini  per  le  necessità  dei  grandi  sbarchi  in
               Normandia del giugno  1944. In altri termini, è possibile che una diversa
               scelta nei tempi, basata su valutazioni più realistiche della situazione com-
               plessiva,  avrebbe portato  a  risultati  diversi,  probabilmente migliori.
                    Queste le  ragioni  di  fondo  del corto circuito psichico che  paralizzò
               l'enorme maggioranza degli italiani la sera dell'8 settembre. Di fronte al-
               l'istantaneo vanificarsi delle motivazioni che, anche a semplice livello abi-
               tudinario, avevano governato la vita di tutti i giorni negli ultimi quattro
               anni, ma a ben vedere dal 1935 almeno, l'atonia dei riflessi fu  figlia dello
               sbalordimento, la caduta del potenziale emotivo di ciascuno la conseguen-
               za  inevitabile di una frustrazione,  destinata ad operare sotterraneamente
               nella vita della Nazione per i decenni successivi, con quell'unico corretti-
               vo  possibile  che  è la  rimozione  della  colpa.

                    Sulla paralisi di quella  notte e del giorno successivo,  agì  inoltre po-
               tentemente un gruppo di voci terrificanti che cominciarono a circolare su-
               bito tra la  popolazione civile e specialmente tra le  Forze Armate. Venne
               riportato di bocca in bocca,  con abbondanza di particolari, che Hitler si
               era  suicidato  e  che  Mussolini  era  stato  fucilato  in  una  prigione segreta.
               Dalla  sera  del  9  settembre in poi,  circolò  la  voce  ulteriore che  la  Flotta
               britannica era  comparsa di  fronte  a  Livorno,  pronta a  sbarcare truppe.
               Ed infine giunsero le più disparate notizie su tutta una serie di efferatezze
               tedesche,  non tanto a carico dei militari italiani, quanto dei  civili, specie
               le donne. Non è inutile ricordare questi ingredienti del momento per tre
               ragioni:  in primo luogo perché contagiarono anche i tedeschi, piccoli re-
               parti dei  quali  si  presentarono a  nostri  Comandi per consegnare le  loro
               armi, convinti che la guerra fosse davvero finita. In secondo luogo, perché
               dissuasero i più dal cercare altre soluzioni che non fossero quelle del fatto








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