Page 87 - L'Italia in Guerra. Il quarto anno 1943 - Cinquant’anni dopo l’entrata dell’Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
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               IL  25  LUGLIO: I  QUARANTACINQUE  GIORNI
               Allorquando il Re riprese l'iniziativa politica al momento della caduta del
               regime fascista  non vi è dubbio che egli doveva riassumere nella  propria
               persona l'intera struttura dello  Stato  che  ritornava  ad  essere  addirittura
               di tipo prestatutario. La maggioranza delle opinioni politiche del momen-
               to e cioè ex dignitari fascisti, ambienti antifascisti e nascenti partiti di massa
               vedevano  nella  sua persona l'unica via di  salvezza  per una crisi dai con-
               torni estremamente confusi e quasi senza esito prevedibile. Sul piano po-
               litico "antichi avversari e guardinghi fiancheggiatori erano stati conciliati
               alla Corona, in passato, con argomenti convincenti: i vistosi progressi so-
               ciali e i successi in politica estera dell'età giolittiana e,  nel corso della grande
               guerra, le vittorie militari e la disperata resistenza dopo Caporetto, quan-
               do Filippo Turati aveva dichiarato che anche per i socialisti la  patria era
               sul Piave. Nel luglio  1943, però, il Re non aveva da offrire che una grave
               sconfitta su molti fronti, la perdita delle colonie (comprese quelle conqui-
               state prima del fascismo),  la prospettiva di  perpetua sudditanza nei con-
               fronti  di  un  alleato  arrogante  e  prepotente e,  in  alternativa,  l'invasione
               del territorio metropolitano, a  conclusione di  una guerra  non desiderata
               dal Paese e poco gradita a una parte consistente della stessa classe dirigente.
                    Poiché, malgrado la paziente attesa del Re e dei capi militari, Musso-
               lini  non era riuscito a  ottenere che  un massiccio sforzo germanico capo-
               volgesse le sorti belliche nel Mediterraneo, per Vittorio Emanuele III l'unica
               via per afferrare nuovamente il controllo della situazione era portare l'Ita-
               lia fuori  dalla guerra:  cioè giocare la  sconfitta a vantaggio di una rapida
               stabilizzazione  interna,  così  da  riprendere  libertà  d'iniziativa  nelle  rela-
               zioni internazionali. Su quella strada il Re sapeva di poter contare anche
               sul concorso -  convinto o per forza maggiore -  di molti strenui avver-
               sari dell'istituto monarchico, cui però non fosse venuto meno il senso del-
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               la  realtà  in  cui  versava  l'Italia ...  ". < > Queste  osservazioni  di  A.  A.  Mola
               sono tanto più valide quanto nel generale disordine fatto di crolli di uomi-
               ni ed istituti a lungo considerati intoccabili, l'istituto monarchico e la  fi-
               gura del suo capo, il Re, apparivano agli occhi di tutti l'unico punto sicuro
               di un riferimento politico che valesse a realizzare ciò che in realtà la svolta
               del 25  luglio sembrava lasciare presagire e cioè la fine della guerra 'fasci-
               sta'  e il  ritorno alla  democrazia.  In realtà la  posizione del Re tornato ad



               (4)  A.  A.  Mola,  "Corona,  governo,  classe  politica  nella  crisi  del  settembre  1943" ,  in
                  Otto settembre  1943. L 'Armistizio italiano 40 anni dopo,  Atti del convegno internazionale
                  di  Milano,  7  ·  8  settembre  1983,  Roma,  Ministero  della  Difesa,  1985,  p.  202.








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