Page 142 - L'Italia in Guerra. Il sesto anno 1945 - L’Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi. (1945-1995)
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               degli invalidi occorre sottrarre i partigiani detenuti in mano nemica e quelli
               che,  pur avendo già abbandonato la lotta armata, figurano  nel totale dei
               combattenti. Ipotizzando che detenuti e smobilitati compensino le perdite
               verificatesi durante l'Insurrezione, si può azzardare che alla vigilia le 468
               Brigate d'assalto contassero da 90 000 a  110 000 partigiani, con una me-
               dia indicativa di 200-230 effettivi. Applicando analoghi calcoli ai patrio-
               ti,  si  possono  aggiungere  forse  altri  50 000  sappisti,  con  una  media
               indicativa  di  100  per ciascuna  delle  475  Brigate  di  città.

               Pochi o  tanti?

                    In un recentissimo saggio (Rosso e Nero,  Baldini e Castoldi, 1995) Renzo
               De Felice ha  utilizzato il  dato  approssimativo sull'entità dei  partigiani e
               dei  militari della R.S.I.  in  sostegno alla  tesi  (già  cara alle  interpretazioni
               cattoliche e moderate della Resistenza) che rivaluta l'importanza dell'"at-
               tendismo" e della "resistenza sociale passiva" ridimensionando l'entità della
               guerra partigiana. Più o meno un milione di uomini e donne italiani furo-
               no  in quegli anni "repubblichini" o partigiani (e  alcune migliaia appar-
               tennero ad entrambe le categorie). In termini statistici, il dato corrisponde
               a  poco  più del  2%  della  popolazione italiana.  Ma cosa  significa  in  rap-
               porto al problema storico sollevato da De Felice? Non è una scoperta che
               la  Resistenza  fu  fatta  da una "minoranza attiva":  e quel 2%  di gente in
               armi,  tra  "repubblichini" e partigiani,  non è un dato elettorale,  benché
               la  moltiplicazione dei  "patrioti" alla  vigilia e soprattutto dopo l'Insurre-
               zione  mostri qualche analogia e connessione col tesseramento dei  partiti
               di sinistra, e la tesi moderata colga un rapporto non infondato tra il 98%
               di  "attendisti" e "resistenti sociali  passivi" ed il 48%  raccolto dalla DC
               il  18 aprile  1948.  Ma su questa base la  retorica  resistenziale continuerà
               a vedere un bicchiere mezzo pieno, e la critica moderata uno mezzo vuo-
               to.  È possibile invece valutare quel dato in modo leggermente meno arbi-
               trario. Basta scomporlo in dati analitici, metterli correttamente in rapporto
               tra loro,  individuarne i fattori  determinanti e infine sottoporli alla  com-
               parazione storica con analoghi fenomeni italiani e stranieri. La scomposi-
               zione  in dati  analitici consente di  ridurre il  livello  di  automobilitazione
               molto al disotto del milione di persone. Naturalmente non ha senso impo-
               stare il  problema in  termini di  analisi motivazionale individuale:  la  me-
               morialistica  e le  testimonianze  retrospettive  sono  ancor  meno  affidabili
               del "televoto" e delle ricerche di mercato e in ogni caso non hanno valore
               statistico.








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