Page 316 - L'Italia in Guerra. Il sesto anno 1945 - L’Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi. (1945-1995)
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              certo in primo luogo per De Gasperi e gran parte del suo partito. In mag-
              gio, mentre l'Osservatore Romano  denunciava il regime di Tito e le sue per-
              secuzioni  religiose,  l'organo  della  Democrazia  Cristiana  Il  Popolo  aveva
              rivolto  alla  "democrazia progressiva  cui  il  regime  di  Tito  si  ispira"  un
              saluto che non era meno significativo per il  fatto  di essere  forse  ispirato
              ad  una  esigenza  tattica  di  distensione  nel  pieno  della  crisi  triestina,  so-
              prattutto se  si  considera  che  veniva  formulato  proprio all'indomani  del
              durissimo proclama di Alexander. In agosto si registrava poi uno striden-
              te  contrasto tra una dichiarazione di  politica estera del Consiglio Nazio-
              nale della  DC,  che  parlava di  "difesa della  civiltà italiana  e cristiana"  e
              della Venezia Giulia come ''baluardo della  romanità di fronte al mondo
              orientale e balcanico", e un successivo discorso di De Gas peri che respin-
              geva idee di "sbarramento", auspicava che la frontiera italo-jugoslava di-
              venisse  "un  ponte  di  passaggio,  proteso  verso  l'avvenire  della  nuova
              Europa" e negava che la  politica estera del suo partito avesse una impo-
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              stazione  ideologica  anticomunista.  < )
                   Le  analisi più approfondite, lucide e coerenti della situazione inter-
              nazionale e dei suoi  riflessi  sulla  posizione diplomatica dall'Italia e sulla
              questione giuliana si ritrovano comunque soprattutto (o meglio esclusiva-
              mente, nella corrispondenza diplomatica italiana) nei rapporti dell'amba-
              sciatore a Mosca Pietro Quaroni.003)  Questi partiva dalla ovvia promessa
              che l'Italia, nella questione di Trieste (e non solo in quella) dipendeva com-
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              pletamente dalle decisioni dei tre Grandi.0° l  Occorreva quindi compren-
              dere bene la loro politica, in particolare verso l'Italia e la Jugoslavia, per
              regolare di conseguenza le  mosse  italiane.  Le  possibilità di  manovra  nei


              (l 02)  Cfr.  D'Agata,  art.  ci t.,  p.  660-61.  Il  vescovo  di  Trieste e Capo  di  !stria,  M o ns.
                   Antonio Santin,  scriveva  a  De Gasperi il  3-9-45  (DDI,  vol.  Il, cit.,  n.  488)  che
                   "Tito a Trieste e Pola significa  sicuramente  Mosca  a Trieste e Pola. Ed allora  il
                   giogo moscovita sull'Europa orientale e centrale sarebbe completo." Il suo prede-
                   cessore sulla  cattedra di  S.  Giusto,  Mons.  Luigi  Fogar, allontanato  nel  1938 dal
                   fascismo,  propugnava invece la soluzione di Trieste "città o Stato libero", perché
                   l'unione  all'Italia  era  "un  danno  sia  per  l'Italia  sia  per Trieste"  (colloquio  con
                   il sottosegretario Visconti Venosta, 14-8-44, ibi, vol.  l, cit., n. 343; cfr. De Castro,
                   La  questione  di  Trieste ... , cit.,  vol.  l,  p.  127,  311,  481-3)
              (103)  Su  Quaroni  "esempio ...  irripetibile"  di  "consigliere del  principe" , oltre  che  sul
                   segretario generale Prunas "artefice, anzi ... anima, della nostra politica estera per
                   quei primi anni difficilissimi" cfr. Gaia, op.cit., p. 36-39 (destinato al vertice del-
                   la  carriera diplomatica,  Roberto Gaja  era  allora  un giovane funzionario  del mi-
                   nistero)
              (104)  Cfr.  Quaroni a  De  Gasperi,  13-5-45,  DDI,  vol.  Il,  cit.,  n.  193,  p.  264.








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