Page 324 - L'Italia in Guerra. Il sesto anno 1945 - L’Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi. (1945-1995)
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316 MASSIMO DE LEONARDIS
a Mosca colloqui che naturalmente portarono a nulla, mentre un diplo-
matico di Belgrado avvicinò Togliatti.<l37>
L'anno si chiuse all'insegna del pessimismo. Gli esperti del Foreign
0/fice, a capo dei quali vi era il noto storico Arnold Toynbee, escludevano
una soluzione sulla base della linea Wilson, invitavano a non illudersi che
la sostenessero gli americani e appoggiavano quello che venne poi chia-
mato "l'equilibrio etnico", ovvero un confine che lasciasse un pari nume-
ro di italiani in Jugoslavia e di slavi in ltalia,<13S) un criterio che favoriva
di fatto gli jugoslavi (che infatti lo proposero nel 1952), in quanto l'alto
numero di sloveni presenti a Trieste pesava in maniera rilevante. Nessu-
na speranza vi era di uno Stato Libero o di uno statuto autonomo per Fiu-
me e per conservare Pola sarebbero stati necessari sacrifici a nord di Trieste:
avendo "aggredito gli slavi e ... perso la guerra" l'Italia non poteva "pre-
tendere di più e meglio" _0 39) Mentre in precedenza l'Italia aveva chiesto
di migliorare la linea Wilson a proprio favore, il 10 novembre il presi-
dente del consiglio Parri ammise con il tenente generale Sir John Harding,
comandante del XIII corpo d'armata britannico dislocato in Friuli-Venezia
Giulia, che essa potesse essere modificata a favore dalla Jugoslavia, pur
(137) Cfr. Quaroni a De Gasperi, 20-10 e 31-10, 22-11-45, De Gasperi a Prunas,
15-11-45, De Gasperi a Tarchiani, Carandini e Saragat, 23-11-45, DDI, vol. II,
ci t., n. 632, 652, 707, 711. Una delle questioni sollevate da Belgrado fu la presen-
za in Italia di jugoslavi anticomunisti, dei quali tu chiesto il rimpatrio in cambio
della restituzione degli italiani deportati dall'Istria e dalla Dalmazia. Il governo
italiano non aveva però al riguardo voce in capitolo e gli inglesi, che pure nel re-
centissimo passato non avevano esitato a restituire ai sovietici persone destinate
a sicura morte, si opposero al rimpatrio forzato (cfr. De Gasperi a Quaroni,
28-11-45, La rappresentanza di Gran Bretagna a Roma al ministero degli esteri,
4-12-45, ibi, n. 721 e 732; Dé Robertis, op. cit., p. 422).
(138) In proposito Quaroni sosteneva la necessità di attuare un rimpatrio delle rispetti-
ve minoranze che sarebbero rimaste dalle due parti dopo la definizione del confi-
ne, considerando "un pericolo gravissimo, lasciare ... anche un solo slavo in territorio
italiano", poiché il mondo slavo era "in pericoloso fermento di risveglio naziona-
le e nazionalista" e ogni minoranza poteva rappresentare una minaccia all'integri-
tà territoriale dell'Italia. Ciò comportava la dolorosa rinuncia "ad ogni vestigia
di italianità" nelle terre che sarebbero rimaste alla Jugoslavia (Quaroni a De Ga-
speri, 16-7-45, cit., p. 460). Anche De Castro sottolinea il pericolo di aver troppi
slavi in Italia (Il problema di Trieste, cit., p. 198).
(139) Cfr. De Gasperi a Tarchiani, 12-11-45, DDI, vol. Il, cit., n. 679, con l'allegato
Appunto di Casardi a De Gasperi, settembre 1945; anche gli americani sostene-
vano di ridurre "al minimo le minoranze dalle due parti" (Carandini a De Gaspe-
ri, 5-10-45, ibi, n. 604, p. 824); cfr. anche Quaroni a De Gasperi, 12-12-45, ibi,
n. 619 e De Castro, La questione di Trieste, cit., vol. I, p. 370.
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