Page 111 - Dalla Battaglia d'arresto alla Vittoria - La storia e le emozioni attraverso le testimonianze dei protagonisti
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La resistenza                              109

                      E si volse ai suoi ufficiali, coll’aria di un uomo nell’animo del quale il
                    dovere superava e tacitava non solo la cura della propria vita, ma anche del
                    proprio dolore.
                      In quella si senti un sibilo, e una cannonata nell’aria incerta vespertina
                    cadde poco distante, quasi a battezzare quella trincea novella.


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                      De Nada fu come destato da un sogno a occhi aperti, e si mosse per rag-
                    giungere il suo motociclista fra gli alti alberi, bui nella notte incendiata, del
                    parco di Villa Vicentina. Aveva fatto pochi passi, quando un chiarore immane
                    lo rivolse verso quello ch’egli sapeva essere Begliano e la polveriera princi-
                    pale delle artiglierie dell’Armata, a parecchi chilometri di là. S’alzava, sboc-
                    ciando a placide ondate da un tronco immane di fuoco liquido, con una specie
                    di lentezza solenne, con un’incandescente solennità, un fungo, un pino, una
                    cupola altissima di materia ardente. E prima che cominciasse a ricadere o a
                    spezzarsi, una detonazione percosse l’orecchio di De Nada, che non ci badava,
                    attonito sgranando gli occhi sul fenomeno, e gli attraversò per le orecchie il
                    capo, sì che per poco non lo fece cadere in terra, come una percossa vera.
                      Coll’orecchio che gli fischiava dolorosamente, trovò il suo soldato, ed en-
                    trò colla macchina fra i grandi magazzini della sussistenza per rifornirsi di
                    qualche po’ di scatolette di carne. I superiori e i colleghi dovevano esser partiti
                    già da più ore verso il Tagliamento. In ogni modo, trovarsi era un’impresa
                    disperata, poiché nel quartiere di baraccamenti dove la sussistenza e il genio
                    avevano riunito tutti i generi delle cose necessarie, a montagne, dalle stufe e
                    dai legnami e dal cartone catramato per far tetti, fino ai viveri e ai liquori e ai
                    tabacchi, ogni ordine era rotto, nessun grado riconoscibile, la calca grande e
                    furiosa. Lì De Nada vide la licenza diventare follia e regnare in quella notte
                    sui cervelli. Quel che dava indizio peggiore che d’una aperta sedizione, era
                    il modo stranamente allegro e spensierato, la dimenticanza che, a guisa d’un
                    vino potente e drogato, aveva invaso la moltitudine. Non si trattava d’un am-
                    mutinamento, d’un atto ribelle e violento che nella violenza trova i suoi limiti,
                    spaventa i timidi, apre gli occhi agli ignari incoscienti. Quel che stava avve-
                    nendo era un esodo, un abbandono. Un esercito, come furono tutti, in fondo,
                    quei troppo numerosi eserciti della guerra europea, più di un popolo che di
                    soldati, meno di militi che di pazienti, per i quali la guerra avevo finito d’esse-
                    re un’azione di guerra e una speranza di vittoria, dopo tante terribili battaglie
                    dai fini troppo lontani e incerti, sconosciuti e incompresi dai soldati o troppo e
                    terribilmente vicini, e che non si raggiungevano mai; un esercito era diventato
                    in poche ore e poche miglia di strada una folla. Gli uomini erano caduti in
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