Page 115 - Dalla Battaglia d'arresto alla Vittoria - La storia e le emozioni attraverso le testimonianze dei protagonisti
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La resistenza                              113

                    l’aveva colpito e scosso. Si ricordò con subita rabbia di essere inerme, per-
                    ché la sua pistola era scarica ed egli non aveva cartuccie. Il fuoco cresceva
                    lontano, ma s’allontanava di là dalle barricate. Casa per casa, — eran dimore
                    coloniche dove il borgo diventava campagna, e le case dalla parte di dietro
                    davano su corti aperte e fienili comunicanti, — il paese veniva sgombrato dai
                    nostri dalle altre parti, ma lì il nemico era stato ricacciato intanto. Poco più
                    lontano i tedeschi s’erano asserragliati, e, fatte prestamente delle feritoie basse
                    negli umili muri, colle mitragliatrici radevano le strade, fulminavano porte e
                    finestre e tetti, freddando i soldati che tentavano di sorprendere dall’alto dei
                    tetti e delle finestre quegli appostati nelle case del sobborgo.
                      Quel che De Nada non vedeva l’intuiva, e ansava, le spalle all’uscio a cui
                    s’era appoggiato.
                      Dalla destra si sentì la voce d’un cannone di piccolo calibro. Batteva la
                    strada di Palmanova e l’ingresso principale del paese. La difesa da quella parte
                    cedeva. Alcune granate scoppiarono vicino; colpi di mitragliatrice e di fucile
                    arrivarono ora sulla piazzetta a raffiche, e scrostavano i muri, si schiacciava-
                    no, levando spruzzi di polvere e di scheggie dalla strada.
                      Il colonnello era tornato in piazza. Si guardò d’attorno. C’era un invito nei
                    suoi occhi. De Nada lo fissava. Bisognava morire. Entrò in un vicino cortile
                    a cercare un’arma qualunque e la trovò. Giacevan per terra fucili; una torma
                    d’uomini inermi ed inerti si addossava ai muri del cortile e sotto un portico
                    selciato, che puzzava di stallatico cavallino. Erano gli sbandati dispersi, rifu-
                    giati là, senza armi e senz’animo.
                      Un militare, di cui De Nada non distinse i gradi, comparve sull’entrata e
                    investì De Nada: «Anche lei? Un ufficiale? E non vi vergognate, vigliacchi?».
                      De Nada stava raccogliendo da terra alcuni caricatori. Si drizzò, si volse.
                    Gli sbandati tacquero. Solo parve che un moto insensibile li stringesse l’un
                    contro l’altro.
                      «Il colonnello comanda un contrattacco» gridò quegli tagliando l’aria con
                    un gesto furioso.
                      De Nada lo seguì di corsa, armando il fucile. Non sapeva bene se l’inse-
                    guisse per vendicarsi, o che cercasse. Non sapeva che cosa fosse, che nome
                    aveva quel che lo aveva tenuto inerte e fisso sul gradino e contro l’uscio. Non
                    sapeva nemmen più dove si fosse, ma le vene erano colme e il cuore abbon-
                    dante d’una sorta di animazione, di salute espansiva, alacre.
                      Ma arrivò tardi. Una fila di soldati d’ogni arma, ufficiali buona parte, con
                    Graziano in testa, s’era gettata contro i nemici quasi invisibili; ed erano sta-
                    ti accolti dalle mitragliatrici postate entro le case a pianterreno. Gli italiani
                    cadevano falciati nelle gambe dal tiro radente; De Nada li vedeva troncarsi
                    come frumento maturo, e traboccar per terra. Un istante si fermò tra i colpi
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