Page 121 - Dalla Battaglia d'arresto alla Vittoria - La storia e le emozioni attraverso le testimonianze dei protagonisti
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La resistenza 119
afferrano in malomodo e mi scaraventano a me e il piccone. Gli Austriaci sono
a poche diecine di metri e il rumore sarebbe bastato per dire siamo qui. Prima
dell’alba ci allontaniamo. Visito qualche casa ove si nota la tragedia umana.
La tavola imbandita tutta sottosopra sedie rovesciate vino e pane resti di pie-
tanze, rottami. A Bibano visito una stalla ove ci sono 14 buoi e vacche di una
grandezza magnifica. Andiamo verso Tezze ove giungiamo a notte. Il paese è
in subbuglio ma qui il Piave è vicino. In un grande casolare c’è ogni bendi Dio
e noi approfittiamo solo del vino e del grano per mangiare i cavalli. Il coman-
do è al pianterreno di cui una porta dà sulla strada e alla parte opposta va in
un cortile. In questo cortile c’era uno staccio che bruciava e un mio compagno
ciclista improvvisato perché era nientemeno che il sellaio del 2° squadrone,
ci buttò un secchio di vino per cercare di spegnerlo. In mezzo alla stanza c’e-
ra un tavolo grande. Gli ufficiali si ritirarono e non senza raccomandarci di
stare all’erta sulla porta specie se passavano motociclisti. Noi eravamo molto
in gambe sotto l’effetto del vino e quindi facemmo la rivista della casa. Mi
presi un astuccio con una posatina d’argento e uno scialle di seta che mi misi
al collo. Dopo di che cademmo in letargo sulla tavola. Verso l’alba mi sentii
buttare terra, era il capitano aiut. Magg. che mi minacciava mandarmi subito
alla fucilazione. Facilmente nella notte eravamo stati chiamati dal Comando
di Brigata e noi dormivamo, apriti cielo. Barcollando afferrai la bicicletta e via
ma invece di infilare la porta di uscita sulla strada andai verso il cortiletto e
qui c’era ancora lo staccio che fumicava, feci subito dietro front e non c’era da
sbagliarsi uscii in istrada andai verso destra e alla distanza di 500 metri trovai
il comando di Brigata da dove appresi subito con sollievo che nulla era suc-
cesso ma il reggimento o i resti dovevano trovarsi incolonnati verso il Piave.
Portai l’ordine a voce e poco dopo i resti di una divisione di cavalleria era
frammista e marciava di lento passo verso un ponte del Piave di barche per at-
traversarlo. Un aereoplano austrico ci accompagnò mitragliando e dovemmo
sparpagliarci. Sostiamo un po’ presso una masseria e rifornimmo le bisaccie
di grano e abbondantemente lo rovesciammo per terra a mangiare ai cavalli. Il
mattino dell’11 novembre 1917 imboccammo il Ponte del Piave costruito dal
genio pontieri di barche e pronto per bruciarlo con fascine e latte di petrolio.
Giungiamo a Lovadina, qui sembra che non ci sia spavento ma molti si
avviano verso l’interno allegramente perché sanno di essere al di là del fiume.
Il Comando di Genova Cavall. si accantona in una bottega di pane con forno.
Detta bottega funziona come se nulla fosse ma l’uragano si avvicina e già
pensano di far fagotto. Circa 40 lancieri di Genova a piedi sono stati dislocati
al di là del Piave ad attendere il nemico e riferirci, ma credo che questi siano
caduti morti di stanchezza, qualche ciclista viene al Comando a dire il rituale
“nulla di nuovo”, nel frattempo il tenente del Genio Pontieri riceve l’ordine