Page 14 - Dalla Battaglia d'arresto alla Vittoria - La storia e le emozioni attraverso le testimonianze dei protagonisti
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                  italiano mutò il proprio corso: cominciò quella lunga battaglia che ebbe il
                  momento finale a Vittorio Veneto giusto un anno dopo. Gli studiosi di storia
                  militare, e tra questi il già ricordato Silvestri che cita ampiamente le consi-
                  derazioni di Gaetano Giardino per spiegare l’ostinata resistenza dell’esercito
                  travolto solo due settimane prima, si richiamano allora all’attuazione di una
                  nuova e più efficace tattica difensiva, ad una condotta “elastica” del combat-
                  timento con una presenza meno assidua e coercitiva del Comando Supremo
                  che consentiva ai difensori, non più vincolati alla trincea, di poter manovrare
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                  e contrattaccare liberamente lungo tutto il fronte.  Favorì la resistenza anche
                  la situazione militare profondamente mutata che portò le truppe italiane ad as-
                  sumere dopo Caporetto uno schieramento difensivo.
                     L’esperienza dei tre anni di guerra - sostengono gli storici - aveva sancito
                  una verità che era davanti agli occhi di tutti: era più efficace e agevole la di-
                  fesa anche di fronte a un nemico più numeroso e, per quel che riguardava le
                  truppe germaniche, più preparato. Tuttavia quella nuova disposizione nello
                  schieramento dell’esercito non rimase solamente un obbligato cambiamento
                  tattico, ma rappresentò anche la salvaguardia ad oltranza del sacro suolo del-
                  la patria e mutò profondamente, secondo l’interpretazione degli interventisti
                  democratici tra cui Novello Papafava e Adolfo Omodeo, il significato ultimo
                  dell’intervento in guerra, riportandolo all’iniziale dolorosa e controversa scel-
                  ta di abbandonare la neutralità per non morire come Italia. Ogni soldato sentì
                  su di sé una grave responsabilità sottolineata nel vigoroso appello rivolto al-
                  le truppe da Luigi Cadorna il 7 novembre, poche ore prima di essere esone-
                  rato: «Noi siamo inflessibilmente decisi: sulle nuove posizioni raggiunte, dal
                  Piave allo Stelvio, si difende l’onore e la vita dell’Italia. Sappia ogni combat-
                  tente qual è il grido e il comando che viene dalla coscienza di tutto il popolo
                  italiano: morire, non ripiegare».
                     Così molte unità sbandate si riunirono spontaneamente, dimostrando una
                  notevole autodisciplina, battaglioni e brigate combatterono come nei loro mo-
                  menti migliori, ogni singolo militare compì il proprio dovere fino in fondo.
                  In quei giorni, dopo la metà di novembre, il servizio di polizia – ricordava
                  Gioacchino Volpe nel suo saggio Ottobre 1917. Dall’Isonzo al Piave - schiera-
                  to nelle retrovie fece sapere che nessun uomo del IX corpo d’Armata era sta-
                  to sorpreso a ritirarsi dalla prima linea e il generale Mario Nicolis Di Robilant
                  pose la notizia all’ordine del giorno della IV Armata.
                     In questo modo l’ultima resistenza sul Piave, vissuto come il baluardo estre-



                  15  Di parere opposto era il generale Clemente Assum che nel suo libro di memorie La prima
                     difesa del Grappa, cit., p. 47, descrisse la difficile situazione in cui vennero a trovarsi le sue
                     truppe impreparate alla difesa in campo aperto. Cfr. Infra al Capitolo La resistenza p. 123.
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