Page 15 - Dalla Battaglia d'arresto alla Vittoria - La storia e le emozioni attraverso le testimonianze dei protagonisti
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IntroduzIone                               13

                    mo per l’Italia, fu una scelta strategica che si richiamava allo spirito dell’ulti-
                    ma guerra d’indipendenza: al contrario il ripiegamento sul Mincio, sostenuto
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                    da non pochi nei giorni più critici,  avrebbe rappresentato un vulnus profon-
                    do allo spirito nazionale: significava abbandonare Venezia, cara forse più di
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                    tutte le altre al cuore di ogni italiano,  e riconsegnare le province venete al
                    nemico storico che, certo del prossimo successo, aveva già predisposto meda-
                    glie, timbri, spille per celebrare l’occupazione della città lagunare e il ritorno
                    ai confini del 1866. Resistere sul Piave voleva dire rinnovare la sfida esaltan-
                    te all’impero asburgico, chiamare a coorte, secondo le parole del Canto degli
                    Italiani tutta la nazione.
                      Tanto  più  straordinaria  parve  dunque  la  reazione  dell’Esercito  Italiano
                    quando non solo nulla era mutato, come visto, nelle condizioni di vita, ma
                    un diffuso scetticismo e una crescente preoccupazione erano diffusi pure ai
                    massimi livelli della classe dirigente politica e militare: il ministro Leonida




                    16  Giovanni Giolitti ancora il 15 novembre sosteneva che l’unico modo per l’Italia di metter-
                      si al sicuro contro un nuovo disastro era assumere una decisione eroica: la ritirata dietro al
                      Mincio o addirittura dietro il Po.
                       Ferdinando Martini, già ministro delle Colonie e dopo Caporetto membro autorevole del
                      Fascio parlamentare di difesa nazionale costituito per contrastare l’ipotesi di una pace se-
                      parata, ricordava nel suo diario: 7 dicembre 1917. Non dimentico una frase dettami dall’on.
                      Chiesa [commissario per l’aviazione], che torna da Parigi dov’ebbe modo di conoscere la
                      vera condizione delle cose. Circa la difesa del Piave egli mi ha detto, non bisogna farsi trop-
                      pe illusioni». Ferdinando Martini, Diario: 1914 - 1918, Milano, Mondadori, 1966, p. 1063.
                       Ugo Ojetti, autorevole opinionista, giornalista del Corriere della Sera, in una lettera alla mo-
                      glie: «Padova, 21 novembre 1917. … Le divisioni, le brigate sperano di tenere. Chi dispera è
                      più in su e ti parla, in un orecchio, del Mincio come d’un paradiso. Torniamo al ’66 – ripete.
                      Ma l’Italia è un’altra. Tornare al ’66 per l’Italia sarebbe come per me tornare all’età di cinque
                      anni: il rimbecillimento e la morte». Lettere alla moglie. 1915 -1918, Firenze, Sansoni, 1964,
                      p. 424.
                       Una sintetica rassegna di pessimistiche considerazioni sulla possibilità di una resistenza al
                      Piave per l’Esercito Italiano in Piero Melograni, Storia politica della Grande Guerra. 1915 –
                      1918, Bari, Editori Laterza, 1972, pp. 461 – 468.
                    17  «Abbandonare il Tagliamento vuol dire gli austriaci alle porte di Venezia. A questo pensiero
                      una nube ci passa dinanzi agli occhi, un brivido di collera e di raccapriccio ci torce il cuore.
                      Venezia! La città sacra delle memorie, dei sogni, degli amori, la città del ’49, (…) Venezia
                      ancora prostituita dal barbaro!» Valentino Coda, Dalla Bainsizza al Piave. All’indomani di
                      Caporetto (Appunti di un ufficiale della II Armata) Milano, Casa Editrice Sonzogno, [1919?]
                      p. 137. Ma al di là delle pur importanti argomentazioni emotive e storiche, il danno strate-
                      gico - come aveva rilevato con forza il Capo di Stato Maggiore della Marina Paolo Thaon
                      di Revel - sarebbe stato enorme: senza la piazzaforte di Venezia la flotta della duplice mo-
                      narchia avrebbe agevolmente controllato tutto l’Alto Adriatico e avrebbe potuto sostenere le
                      azioni del proprio esercito tanto dal mare quanto con sbarchi sulla costa.
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