Page 52 - Dalla Battaglia d'arresto alla Vittoria - La storia e le emozioni attraverso le testimonianze dei protagonisti
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                  sono anche dei feriti laceri e macilenti. Raccomando il mio bagaglio al Capo-
                  stazione che me ne assicura la spedizione col prossimo treno, perché il nostro
                  è rigurgitante. Ci credo poco, e poi che importa? Purché sia salva la bandiera.
                     Conversazione penosa cogli Ufficiali e soldati mortificatissimi; nessuno sa
                  dire cosa sia successo.
                     Alle sei di sera arrivo a Mestre: la stazione è nera di truppa e di profughi;
                  il “buffet” affollato di affamati; non vi è modo di penetrare per avere un tozzo
                  di pane! Non abbiamo mangiato dalla mattina... ci sentiamo estremamente
                  deboli.
                     Corrono voci orribili e incredibili! Parisi e Manna riescono a prendere un
                  treno per Roma... Rimango sola fra la folla disordinata, che non sa dove andrà.
                  Interrogo alcuni profughi seduti su sacchi ricolmi; hanno lo sguardo spaurito e
                  dicono che non sanno nulla. C’è un’aria cupa che spira ovunque.
                     Mi dirigo quasi per istinto al posto di soccorso e ricordo solo di essermi
                  buttata sopra una branda con coperta grigio scura; dopo... non so più nulla.
                  Quando mi sveglio sento parole sconnesse che arrivano dalle altre brande oc-
                  cupate; voci di donne parlano di piedi piagati, di roba abbandonata al nemico;
                  i bambini piangono e chiedono pane. Poi, arrivo di due Infermiere venute a
                  piedi da Cividale: sono sfinite... Perché non mi alzo? Le palpebre pesanti si
                  richiudono e penso... alla pace dei morti!... Supremo sconforto!
                     Ma l’angelo della pietà, che giunge sempre quando vengon meno le forze,
                  arriva anche per me, sotto forma di una dolce figura di donna; una figura che
                  non potrò mai scordare finché vivrò, che, accarezzandomi la fronte, mi sus-
                  surra: “Lei è l’Infermiera Camperio, vero?”. E alla mia risposta affermativa
                  si presenta: “Sono l’Ispettrice di Venezia, Costanza Mocenigo; siamo state
                  compagne sulla Menfi nella guerra di Libia, ricorda?”.
                     Dire la dolcezza che provai in quel momento nel quale mi pareva che tutto
                  crollasse intorno, non saprò mai: era l’angelo della pietà, con le ali spiegate,
                  che veniva verso di me, sfinita dalle fatiche, dalle emozioni e dal dolore.
                     Essa mi rifocillava, mi incoraggiava, comprendeva ciò che io non ero in
                  grado di esprimere e, sorreggendomi come una sorella, mi conduceva al treno
                  di Milano, adagiandomi e raccomandandomi ai vicini. Non avrei più saputo
                  raccappezzarmi, debole come ero in quella confusione: “Buon viaggio, amica
                  cara, Dio la benedica”. “Grazie, Costanza Mocenigo”; e null’altro.
                     Il treno fila per l’interno. Dove siamo? Conversazioni strazianti. I Tedeschi
                  incalzano: hanno preso tutte le alture; sono a Cividale; marciano su Udine...
                  il Comando trasferito a Padova... Udine sgombrata! E i nostri feriti chi li me-
                  dicherà? I midollari, con l’enorme decubito, chissà come soffrono! Saranno
                  morti in autolettiga?
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