Page 55 - Dalla Battaglia d'arresto alla Vittoria - La storia e le emozioni attraverso le testimonianze dei protagonisti
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1917. La rotta di Caporetto, L’inCreduLità e L’angosCia  53

                    il combattimento, ma la narrazione cambiava registro: ora, le colonne, passato
                    il Tagliamento, riprendevano la marcia con ordine e disciplina. Era la svolta.
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                        Rivedo, ad una ad una, le tombe del Carso. Il pianoro, da San Mar-
                        tino a Doberdò, rischiava di diventare un cimitero, con tante croci
                        bianche e diseguali., a sommo dei tumuli mal difesi e a specchio
                        della roccia rossigna.

                      La pioggia, sui campi giallastri, lasciava spesso miriadi di gocciole vive:
                    che, riaffacciatosi il sole, tremolavano e scintillavano tra una croce e una zol-
                    la, tra una tomba e un cespuglio, come simboli delle giovinezze ivi interrate.
                      Le stoppie riarse, vivificate dall’acqua, parevano gongolare; e la pietra,
                    vecchia e corrosa, a quel bagno lungo e ristoratore, si riaveva, assumendo una
                    tinta turchiniccia, che sembrava di cielo. Ma la terra delle tombe inturgidiva,
                    si disfaceva, si perdeva in rigagnoli, lasciando, talora, che qualche stinco o
                    femore, mal sepolti, cercassero l’aria.
                      Ma, dopo gli acquazzoni, da sotto i ricoveri, dalle buche, dalle case semi-
                    diroccate, sbucavano gli uomini: conducenti di salmeria, portatori d’acqua,
                    cucinieri, presidiari, territoriali: gente, dall’apparenza sbadata e sonnacchiosa,
                    la pipa tra le labbra, l’elmetto sugli occhi e una voglia matta di infischiarsene
                    e dei vivi e dei morti.
                      Il vento soffiava ancora tra i quercioli, strappando qualche foglia.
                      Tosto, gli occhi di costoro correvano alle tombe. Non c’era tumulo noto,
                    su cui essi non gettassero, di primo mattino, un fiore o una frasca. E, quando
                    la pioggia e il vento avevano fatto strazio delle tombe («via le pipe e morte
                    agl’indolenti!»), era una gara tra loro a riordinare, a ripulire, a ricoprire: così
                    che i piccoli cimiteri riacquistavano, a poco a poco, l’ordinata serenità del
                    giorno prima.
                      Scenderanno, ora, sul pianoro di Doberdò gli austriaci. E la pioggia potrà,
                    alleata col vento, sradicare, sconvolgere, distruggere.
                      Diranno i nemici:
                      Sbizzarrisciti, o vento, su codeste ossa marcite. Lontana è ormai l’Italia e
                    non fa più paura


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                      Il Carso brucia, è un rogo solo. Tratto tratto, un’esplosione, una fumata e
                    rombi cupi, che si susseguono ad intervalli irregolari. Quelli che sono già sulla
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