Page 97 - I 100 anni dell'elmetto italiano 1915-2015 - Storia del copricapo nazionale da combattimento
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ANNI VENTI                                          97


                Generale di brigata in grande uniforme per
                                   servizi armati (1926)








                  A questo punto è d’uopo una digres-
               sione,  visto  che  questa  ultima  seduta
               citata fu del 20 ottobre 1922, alla vigi-
               lia di uno tra gli atti più rivoluzionari
               della storia d’Italia. Nonostante queste
               lunghe  e  (quasi)  interminabili  discus-
               sioni ai vertici, si può però dire che tra i
               combattenti proprio il copricapo metal-
               lico, al pari dei pugnali, divenne quasi il
               simbolo stesso dell’arditismo reducisti-
               co, uscito dall’esperienza  rigenerativa
               della trincea. Conclusosi quindi il suo
               esclusivo uso per fini bellici, se ne ini-
               ziò a rintracciare la presenza nei conte-
               sti più disparati: nei monumenti, nelle
               opere figurative e sempre più spesso in
               occasione di raduni, manifestazioni pa-
               triottiche,  riviste  o  cerimonie  militari
               ufficiali e ufficiose. Esemplare in pro-
               posito la complessa e lunga cerimonia
               di traslazione della salma del Milite Ignoto dalla cattedrale di Aquileia al Vittoriano nell’autun-
               no del 1921, ma anche il curioso premio attribuito alla R. Guardia di Finanza, per aver vinto
               per tre volte la gara podistica in onore del decorato Alberto Nelli. Dopo aver ottenuto il primato
               nel 1922, nel 1925 e nel 1928, il gruppo sportivo del Corpo ottenne come ricompensa in via
               esclusiva un elmetto Adrian d’argento a grandezza naturale, dono dei deputati ex-combattenti.
                  Nel frattempo tuttavia, come nel quasi coevo e simile caso tedesco, in Italia a partire dai
               primi mesi di pace associazioni reducistiche o nazionalistiche inserirono l’elmetto nel proprio
               corredo di categoria. Ragioni di prestigio, ma anche funzionali – visti i non infrequenti scontri
               tra fazioni contrapposte o contro le autorità costituite – rendevano l’elmetto un inseparabile
               oggetto feticistico, oltre che di difesa personale, negli scontri di piazza.
                  Il movimento fascista, che con i mesi quasi monopolizzerà il significato patriottico della
               Guerra mondiale, utilizzerà l’elmetto in un’inedita tonalità nera (accanto a quella grigio-verde),
               accompagnandolo a una coreografica simbologia politica, a mezza strada tra il goliardico e il
               marziale. Non escludendo a priori la possibilità pure di utilizzare elmetti di preda bellica (tede-
               sca o austro-ungarica), iniziarono ad essere applicati quindi teschi, ovali tricolori e fasci giaco-
               bini, sia dipinti che metallici. La Marcia su Roma, nella sua grottesca valenza militare, divenne
               nell’immaginario successivo legata a doppio filo ai seguenti simboli: manganello, camicia, fez
               ed elmetto, rigorosamente tutti neri. 171


               171 A. Brisone e altri, Italia in camicia nera. Storia del fascismo attraverso simboli e uniformi, Octavo, Santarcan-
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