Page 226 - Il Generale Giuseppe GARIBALDI
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                   clamato lo stato d’assedio, senonchè le eccezionali misure poco o nulla pote-
                   vano influire su tutti i sediziosi che, nascostamente o apertamente, tramavano.
                      Nel tempo stesso in cui la marea garibaldina saliva lungo la penisola, i pa-
                   trioti napoletani e i fuorusciti, tornati nel Regno per effetto della nuova co-
                   stituzione, andavano preparando l’insurrezione contro il debole Re. Comita-
                   ti dell’ordine e dell’azione si erano costituiti e contro la loro attività, eviden-
                   temente illegale, l’autorità non reagiva in alcun modo.
                      Perfino il conte di Cavour, per mezzo dei suoi emissari, congiurava in Na-
                   poli, poiché il grande ministro, vegliando da lontano affinchè Garibaldi giun-
                   gesse indisturbato alla mèta prefissa, procurava nel tempo stesso di suscitare
                   disordini nella capitale, prima che vi giungesse il Dittatore al fine di togliere
                   alla rivoluzione il vanto di aver fatto da sola. Il marchese Villamarina e l’am-
                   miraglio Persano tenevano in pugno le fila della organizzazione, il barone Ni-
                   sco segretamente introduceva in città armi di ogni e il Nunziante, già gene-
                   rale napoletano, si valeva delle conoscenze e delle aderenze militari per dif-
                   fondere l’idea nazionale fra gli ufficiali e i soldati borbonici.
                      Già accennammo alle fiere proteste che accompagnarono e seguirono l’i-
                   nizio della spedizione dei Mille, ma la sagace politica del conte di Cavour,
                   prudente e impaziente, ora remissivo, ora altero, a seconda del momento con-
                   ciliante o sdegnoso, era riuscita a poco a poco a modificare in suo favore la si-
                   tuazione internazionale, a placare le collere, a disarmare la diffidenze e a far
                   sì che gli avvenimenti seguissero il corso loro, rimanendo gli Stati in una neu-
                   trale aspettazione.
                      D’altra parte, si diffondeva in Europa la persuasione che il Piemonte non
                   avrebbe mai consentito che si attentasse alla libertà del capo della Chiesa, né
                   che la rivoluzione si propagasse o desse luogo a moti inconsulti. Cosicché,
                   quando Napoli stava per essere attaccata e più cresceva il bisogno di France-
                   sco II, tutti i Sovrani che poco prima parevano sostenerlo almeno con le loro
                   note diplomatiche, l’uno dopo l’altro lo abbandonavano al suo destino. Rus-
                   sia, Prussia e Austria promettevano ancora, ma senza decidersi a provvedimenti
                   radicali; così la Francia. Il Pontefice troppo temeva per sé e per le cose sue per
                   darsi pensiero dell’altrui e l’Inghilterra si mostrava addirittura nemica.
                      Non amici e non fedeli nella corte - che gli uomini accorrono verso i vin-
                   citori e si allontanano dai vinti - e le persone più autorevoli, per la mente o per
                   il nome, già stavano nel campo avverso o si tenevano in un silenzioso riserbo.
                      Così i giorni trascorrevano, senza che Francesco II prendesse alcuna deter-
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