Page 230 - Il Generale Giuseppe GARIBALDI
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                   ler riconquistare il perduto, per ritornare in possesso degli Stati toltigli colla
                   violenza e contro quello che gli pareva il suo sacrosanto diritto; anche l’eser-
                   cito borbonico, se pur scemato dalle disfatte e dalle defezioni, se pur diminui-
                   to nella sua efficienza materiale e morale dalla profonda crisi in atto, si appre-
                   stava, fra Capua e Gaeta, alla difesa e certo pensava alla riscossa. A questo sco-
                   po il generale Ritucci andava schierando sul Volturno tre Divisioni di fante-
                   ria e due di cavalleria.
                      Assai grave, del pari, si faceva la situazione nel Napoletano e nella Sicilia,
                   dove gli uomini e le consorterie, danneggiati negli interessi privati e colletti-
                   vi dalla bufera garibaldina e dal nuovo ordine di cose, andavano appoggian-
                   dosi ai pochi partigiani di Re Francesco e ai mestatori, che sogliono uscir dal
                   buio in tali frangenti, qui costituendo centri di critici e di malcontenti, là sor-
                   de opposizioni, altrove addirittura covi di sediziosi e di ribelli.
                      Me se nelle città i tentativi di rivolta si poterono prontamente reprimere,
                   nelle campagne condussero a vere e proprie azioni di guerra, come ad Aria-
                   no, dove quel vescovo e i generali Flores e Bonanno suscitarono una sommos-
                   sa, che la Brigata Milano dovette domare con le armi e a Dentecane, dove fu-
                   rono le guardie nazionali a disperdere i rivoltosi.
                      Anche alle spalle dell’esercito piemontese, quando entrò nel Regno di Na-
                   poli, cominciarono i moti, gli agguati, poi perpetuati si in quella guerriglia
                   denominata «brigantaggio», che tenne per molto tempo le province meridio-
                   nali in fermento e costò non pochi sacrifici di sangue e di denaro al giovane
                   Stato italiano.
                      Come se ciò non bastasse, in così eccezionale momento, accanto alle ma-
                   nifestazioni reazionarie, anche nel campo dei patrioti si producevano dissen-
                   si e si manifestavano divergenze circa l’assetto futuro degli Stati liberati e cir-
                   ca le finalità mediate e immediate dell’azione garibaldina: così a parecchi che,
                   nella fiammata dei Mille non avevano veduto la bella avventura tendente a
                   raccogliere gli Italiani tutti sotto un solo vessillo, ma un conato delle libere
                   forze del popolo contro i governi costituiti, tornava ingrato il lealismo mo-
                   narchico di Garibaldi, mentre i mazziniani, tanto a Napoli, quanto a Paler-
                   mo, vantavano le loro tendenze repubblicane e discorrevano di separatismo,
                   a tal punto accecati dalle loro ideologie libertarie, da non comprendere che
                   non valeva cacciare i Borboni per avere sempre un’Italia divisa.
                      Anche il conte di Cavour e la politica del Piemonte amareggiavano i gior-
                   ni del condottiero.
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