Page 28 - Il Generale Giuseppe GARIBALDI
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                   ca il modo, tutto particolare, col quale debbono essere comandate. Su siffat-
                   ti argomenti il pensiero originario di un maestro della tempra del duce dei
                   Mille ci risulta naturalmente più d’ogni altro prezioso.
                      Garibaldi, tratto dalla sua stessa origine popolare e dall’impronta caratte-
                   ristica di condottiero improvvisato, doveva senza dubbio sentire in grado
                   eminente il gusto del comando di forze irregolari e raccogliticce. Il suo stesso
                   concetto filosofico sulla guerra in genere, da lui considerata come espressio-
                   ne di forza esclusivamente al servizio di un nobile ed alto ideale umano, e la
                   sua naturale avversione per tutto ciò che sapesse di mestiere militare o di me-
                   todica e permanente preparazione professionale, lo fanno essere l’esponente
                   forse più vero e maggiore di quella tendenza al «volontarismo», che affiora
                   con insistente intermittenza in tutta la storia militare italiana, come uno dei
                   tratti più singolari del nostro carattere nazionale. D’altra parte egli è senza
                   dubbio il campione più perfetto di quel numeroso stuolo di capi di irregola-
                   ri rivelatisi in Italia fin dagli albori del nostro Risorgimento e che, nella gran-
                   de fiammata patriottica del ‘48-’49, rifulsero poi nei nomi gloriosi (per non
                   citare che i maggiori) di Luciano Manara e di Pietro Fortunato Calvi e nella
                   folta schiera di prodi che si immortalarono sul Gianicolo, quali fuldigi satel-
                   liti dell’ astro garibaldino .
                      Il merito principale di Garibaldi consiste però nell’avere, con le sue impre-
                   se guerresche americane (materiate molto di fatti e poco o punto di chiacchie-
                   re o di teorie), impressa un’orma incancellabile di serietà e di praticità alla
                   condotta di truppe irregolari, liberandosi bravamente da tutto quel ciarpame
                   di letteratura, mezzo romantica e mezzo dottrinaria, che dilagò in Italia e al-
                   trove sul principio del secolo scorso, con la pretesa di dar regole alla «guerra
                   popolare di bande» che era il sogno della democrazia di quel tempo e che tan-
                   te delusioni procurò poi al nostro Paese nelle tragiche vicende del ‘48 in alta
                   Italia. Garibaldi, da vero condottiero di razza, mentre mostra di saper impri-
                   mere, come nessun altro, la potenza del suo genio e il fascino della sua perso-
                   na animatrice all’arte tutta speciale di comandare in campo truppe irregolari
                   e volontarie, pone però a base di questa arte fin dalle sue prime imprese d’A-
                   merica, e come necessità imprescindibile, il sentimento dell’obbedienza e del-
                   la disciplina e, soprattutto, il potente stimolo morale di una diffusa coscien-
                   za di combattere per un alto ideale.
                      Senza disciplina e senza idealità, il volontario, questo tipico strumento di
                   guerra nel quale tutte le forze morali dovrebbero vibrare al più alto grado, fi-
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