Page 109 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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Il RegIo eseRcIto e le opeRazIonI dI polIzIa colonIale In afRIca (1922-1940)  109

              gruppi, a differenza dei battaglioni, non avevano tutti lo stesso organico e contavano fra i
              200 e i 300 uomini di truppa di colore, con una decina di ufficiali e sottufficiali e alcuni
              militari nazionali , inquadrati in un plotone meharisti, due plotoni di fanteria montata
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              su cammello, in seguito sostituiti da plotoni meharisti, una sezione artiglieria da 65/17
              da montagna cammellata, una sezione mitragliatrici pesanti cammellata su due armi. Il
              deserto richiedeva una preparazione specifica e imponeva scelte precise in termini di tattica
              e di logistica, e anche la colonna meglio equipaggiata poteva trovarsi in seria difficoltà se
              composta da truppe impreparate nel fisico e nel morale. Il sole, il caldo torrido che poteva
              sfiorare gli 80 gradi, la mancanza di acqua, il vento, il gelo notturno, l’assenza di punti di
              riferimento erano difficoltà insuperabili per uomini che non fossero stati adeguatamente
              selezionati. Ecco quindi l’importanza di un reclutamento mirato.
                 Il gruppo sahariano era in sostanza un reparto di fanteria montata, integrato da un nu-
              cleo di artiglieri con armi a tiro celere, rifornito all’occorrenza con automezzi ma in grado
              di operare nel deserto con un’ampia autonomia. Per le sue caratteristiche entrava in azione
              appiedato ma se l’avversario rompeva il contatto dandosi alla fuga tornava in sella ai suoi
              mehari per inseguirlo e impedirgli di dileguarsi nelle profondità del deserto . Il dromeda-
                                                                          296
              rio era dunque un mezzo di trasporto, né avrebbe potuto essere diversamente dal momento
              che anche i tuareg evitavano di portarlo alla carica, consapevoli della sua limitatissima
              forza d’urto e ben sapendo che una tale azione poteva al più impressionare un avversario
              già scosso. Oltre al mehari, i sahariani impiegavano dromedari da sella e dromedari da
              basto. Il mehari era l’animale di razza più pura, un vero purosangue del deserto, mentre il
              dromedario da basto, utilizzato nelle carovane, era in grado di portare senza difficoltà un
              carico di 150 chilogrammi, ma tutti si caratterizzavano per la loro sorprendente resistenza:
              il capitano Vitale con 37 dromedari e 42 mehari percorse in 23 giorni 1.660 chilometri e
              il duca d’Aosta, durante le operazioni nella Sirtica, coprì 2.000 chilometri in due mesi con
              600 uomini e 800 quadrupedi.
                 Nel settembre del 1928 Graziani rivide la struttura dei reparti sahariani gli elementi
              fondamentali, individuando delle modifiche che sottopose al ministero delle Colonie. In
              seguito alle operazioni sul 29° parallelo, egli si era reso conto che dovevano essere alleggeriti
              e nel contempo rafforzati per poter eseguire al meglio i loro compiti di polizia coloniale e di
              controllo del territorio. Propose quindi di eliminare i plotoni di fanteria montata e la sezio-
              ne da montagna cammellata e di avere invece tre plotoni meharisti di 100 uomini ciascuno




                 zioni in ambiente desertico, il maggiore Volpini, prendendo spunto proprio dalla prevista occupazio-
                 ne di Gadames (Costituzione dei nuclei sahariani, ACS, FG, scatola 2, fascicolo 4, sottofascicolo 1.
              295 Si vedano in AUSSME, Fondo L-8, busta 112, i numerosi fascicoli su questi gruppi e i loro diari sto-
                 rici.
              296 Interessante quanto scrisse al riguardo Badoglio: “[…] Inseguire vuol dire dare addosso al nemico fi-
                 no all’annientamento. Inseguire vuol dire rendere effettiva la vittoria. Inseguire vuol dire togliere al
                 nemico la possibilità di riorganizzarsi dopo. Inseguire vuol dire avere l’animo deciso a conseguire la
                 vittoria ad ogni costo”, AUSSME, Fondo L-8, busta 158, fascicolo 12bis, L’occupazione del Fezzan,
                 giugno 1930.
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