Page 113 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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Il RegIo eseRcIto e le opeRazIonI dI polIzIa colonIale In afRIca (1922-1940) 113
I Guerriglieri
Già prima della campagna di Libia, i comandi italiani avevano un’idea ben chiara dello
scenario che si sarebbe proposto una volta sconfitti i turchi, c’erano infatti diversi studi sul
tessuto sociale e militare di quelle regioni . La Tripolitania sin dal XVI secolo era sotto il
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dominio di una casta militare di origine turca, i Quaraglia o Corugli, il cui compito prima-
rio era riscuotere le tasse e reprimere eventuali rivolte e che solo raramente erano utilizzati
in operazioni militari, come nel 1886 per la riconquista di Ghat occupata dai Tuaregh.
Discendenti di questi guerrieri, vera e propria milizia a cavallo, erano i Regheat, i Giuari,
gli Alauna, i Nauail, i Seuan, gli Auamed. Nel 1901 la Sublime Porta impose l’obbligo del
servizio militare per tutti gli indigeni con una decisione che significava la fine dei privilegi
dei Quaraglia, ben poco disposti ad accettarlo. Per questo motivo il servizio militare obbli-
gatorio non diventò mai realmente tale. Sul numero dei potenziali combattenti c’erano di-
verse ipotesi e nel 1907 la “Rivista Militare” lo quantificava in circa 166.000 uomini sparsi
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su un milione di chilometri quadrati. In precedenza l’esploratore tedesco Gerard Rohlfs ,
nel valutare in 302.000 individui la popolazione della Cirenaica, aveva ipotizzato una forza
di 72.000 fanti e 3.500 cavalieri armati, con un rapporto superiore a 1:2, fra combattenti
e popolazione maschile. Nello specifico Rohlfs aveva conteggiato 1.000 cavalieri e 10.000
fanti per gli Auaghir, 500 cavalieri e 3.500 fanti per i Braasa, 350 cavalieri e 5.890 fanti
per gli Abeidat, 225 cavalieri e 4.600 fanti per gli Ailet Alì e 75 cavalieri e 2.100 fanti per
i Sauia. La “Rivista Militare“ sottolineava poi che “per passione innata, per lusso e anche
per reale bisogno nell’isolamento in cui abita o vaga, ogni indigeno è armato di un fucile
o di una pistola” , e che il contrabbando di armi, ad opera di greci, belgi e tedeschi, si fa-
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ceva da sempre senza curarsi delle autorità turche. Si trattava in massima parte di materiali
dismessi dagli eserciti europei perché ormai obsoleti che arrivavano in Libia dalla Grecia,
da Marsiglia, da Amburgo, ma anche dai porti italiani. Le armi, dopo essere sbarcate sulla
costa del golfo orientale della Gran Sirte, fino a Bengasi, venivano smistate attraverso Cu-
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fra verso l’Uadai e il Tibesti, mentre una parte rimaneva agli indigeni e ai beduini . Al
cavallo si era per lo più sostituito il cammello, molto più resistente e adatto alle condizioni
estreme dell’ambiente desertico, grazie al quale il combattente poteva portare tutto ciò che
gli serviva.
308 Tripolitania. Forze militari indigene, Estratto dalla Rivista Militare Italiana, disp. IX, Roma 1907,
AUSSME, Fondo L-8, busta 225, fascicolo 7.
309 Nel 1851 Rohlfs si era arruolato nella Legione Straniera in Algeria, e nel 1861 si era trasferito in Ma-
rocco da dove era partito a più riprese per viaggi di esplorazione nel deserto del Maghreb che lo ave-
vano portato in Libia attraverso il Marocco e l’Algeria. Il suo libro più importante è Von tripolis nach
Alexandrien, Bremen, 1871.
310 Tripolitania. Forze militari indigene, Rivista Militare Italiana, disp. IX, Roma 1907, p. 8, AUSSME,
Fondo L-8, busta 225, fascicolo 7.
311 “D’altra parte è notorio che il governo turco ha propri depositi di fucili, che distribuirebbe, dato che
gl’indigeni volessero impugnarli per respingere un’invasione europea, come avvenne nel 1897, quan-
do, per false notizie di giornali francesi annunzianti un concentramento di truppe italiane in Sicilia,
si ebbe a Tripoli un momento di panico”, Ibidem, p. 9.

