Page 110 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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110 l’eserCito alla maCChia. Controguerriglia italiana 1860-1943
e una sezione mitragliatrici FIAT mod. 1914 su tre armi anziché su due . L’anno dopo fu
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aggiunto un plotone esploratori, composto dagli uomini e dagli animali migliori .
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Nell’eventualità che una colonna fosse costituita in prevalenza da sahariani (tre gruppi
sahariani, una squadriglia autoblindo, un convoglio misto di auto e cammelli), Graziani
suggeriva che la formazione di marcia fosse articolata in tre scaglioni, per meglio protegge-
re i fianchi e il convoglio con i rifornimenti e per facilitare l’azione manovrata, finalizzata
all’aggiramento e poi all’inseguimento dell’avversario. Il primo scaglione costituiva la massa
d’urto, il serviva da rincalzo, il terzo da massa di manovra e riserva. In quest’ottica erano
fondamentali le distanze fra gli scaglioni, anche per evitare che si intralciassero nei movi-
menti.
Uno degli elementi più interessanti delle operazioni in Libia della fine degli anni Venti
fu l’utilizzo di formazioni irregolari costituite da indigeni sottomessi, per lo più berberi.
In questi reparti, di solito impiegati per difendere i loro territori e a volte anche in azioni
a largo raggio, la spinta dell’interesse era spesso meno forte di quella derivante dall’odio
atavico fra le tribù e soprattutto fra berberi e popolazioni arabe nomadi . Già nel 1915,
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attraverso il Regio Decreto n. 609 del 22 aprile, era stata autorizzata la creazione di bande
irregolari in Tripolitania, fisse e mobili, a disposizione del governatore. Durante le opera-
zioni dell’estate del 1929 nel deserto della Ghibla contro il capo dei Misciascia dissidenti,
Mohammed ben Hag Hassen, per le condizioni meteorologiche proibitive - un ghibli con
temperature fino a 50° all’ombra - si decise di fare ricorso ai reparti irregolari. Fu così or-
ganizzata praticamente dal nulla una banda di un migliaio di uomini reclutati nel Gebel,
e questa decisione si dimostrò vincente, anche per l’effetto sorpresa, portando al controllo
dell’oasi di Gheriat e all’allontanamento delle formazioni ribelli da tutta la Ghibla, un ri-
sultato non da poco che fece svanire gli ultimi dubbi sulla validità delle bande. Nel deserto
della Ghibla si sperimentò la chiamata alle armi delle cabile fedeli e anche questo fu un suc-
cesso, a detta di Graziani: in poco più di 24 ore risposero all’appello 2.140 uomini, senza al-
cuna paga e con la promessa del solo vitto , che furono utilizzati nel servizio di sicurezza e
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come riserva mobile. L’idea di Graziani era quella di creare un sistema di chiamata alle armi
simile a quello dei goums delle colonie francesi, si pensò perciò a incrementare le dotazioni
dei magazzini di presidio in modo da poter equipaggiare rapidamente all’occorrenza forze
anche consistenti. Graziani aveva ben chiara l’importanza dei cabilani berberi per la difesa
dei loro territori nella consapevolezza che a spingerli alla lotta avrebbe contribuito in modo
297 Riordinamento dei Gruppi sahariani, n. 6920/1 del 21 settembre 1928, AUSSME, Fondo L-8, busta
175, fascicolo 1.
298 Raggruppamenti sahariani, n. 10400-1 del 23 settembre 1929, AUSSME, Fondo L-8, busta 181, fa-
scicolo 23. Questo concetto sarebbe poi stato inserito in un più ampio progetto, riguardante i mo-
vimenti delle truppe da Sebha verso sud (Direttive per gli ulteriori movimenti nel Sud, n. 265 del 26
dicembre 1929, AUSSME, Fondo L-8, busta 181, fascicolo 23).
299 Era l’applicazione del concetto di divide et impera: come sempre in colonia gli odi tribali potevano
fare la differenza.
300 Relazione sulla situazione ed avvenimenti nel sud tripolitano (Primavera 1929), AUSSME, Fondo L-8,
busta 158, fascicolo 12.
Capitolo seCondo

