Page 120 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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120 l’eserCito alla maCChia. Controguerriglia italiana 1860-1943
bel, avevano messo a dura prova le popolazioni, vittime anche di una grave crisi economica.
A Derna, ad esempio, un nucleo di circa 2.000 persone, con e senza tende, si era raccolto
attorno alla cinta muraria per cercare di sopravvivere , e se questo non bastava, molti
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emigravano in Egitto.
In tali condizioni, anche se dirlo può sembrare contro corrente, nessuno più degli uffi-
ciali impegnati sul campo sapeva quanto fosse importante non infierire sulla popolazione.
Colpisce un rapporto dell’allora capitano Orlando Lorenzini in cui, a proposito delle ope-
razioni compiute dalla sua squadriglia nella primavera del 1925 a sud-est di Bengasi, nella
zona di Soluch, scriveva che durante un combattimento, nella confusione, non era stato
possibile risparmiare tutte le donne ma quelle che si erano salvate erano state subito libera-
te . Un particolare, certo, ma per quei tempi non dappoco. Molti documenti relativi alle
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operazioni sul 29° parallelo testimoniano che, se per i dissidenti non c’era scampo, donne e
bambini erano rispettati e protetti dalle rappresaglie e inoltre, se abbandonati dai guerri-
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glieri in fuga, venivano soccorsi e rifocillati . Quando infatti gli insorti venivano sorpresi
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dagli italiani, per rompere il contatto e fuggire dovevano abbandonare tutto ciò che poteva
essere un peso, e spesso anche le famiglie. Per quanto possibile si cercava di soccorrerle, ma
anch’esse finivano con il pagare lo scotto di una guerra senza fronti .
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Il colonnello Gigliarelli nel 1929 segnalava che la tribù degli Otman, una popolazione
dello Sciati occidentale fedele agli italiani dal 1922, si stava spostando per trovare nuovi
pascoli non solo a causa della siccità, ma anche perché stanca delle continue “vessazioni
subite dai capi ribelli”. A margine di questo radiotelegramma, Graziani annotò che “come
tutte le popolazioni stabili del Sed, subiscono soprusi, taglieggiamenti ed angherie dai vari
capi profughi” . In questi casi l’arrivo degli italiani non era affatto sgradito.
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Un momento fondamentale del processo di pacificazione era la consegna delle armi al
governo, il che però significava chiedere molto senza poter promettere altrettanto. In una
società tribale in cui il diritto non era certo quello occidentale e imperava il concetto di
razzia, le armi, oltre a essere un motivo di prestigio, erano spesso necessarie per difendersi
dalle bande di predoni e consegnarle, senza adeguate garanzie, era un azzardo , come
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337 Tel. n. 5504 Ris., Governo della Cirenaica, Notiziario n. 46, del 16 novembre 1928, AUSSME, Fon-
do L-8, busta 174, fascicolo 7.
338 Relazione Operazioni Squadriglia Lorenzini. Aprile 1925, AUSSME, Fondo L-8, busta 113, fascicolo
32. Di lì a poco, nell’agosto 1926, Lorenzini sarebbe stato proposto maggiore per merito di guerra.
339 Relazione sulla marcia Hon-Ueddan-Zella-Tagrift-Nufilia 18 febbraio-3 marzo 1928, tel. n. 44M. del
21 aprile 1928, AUSSME, Fondo L-8, busta 156, fascicolo 10.
340 Tel. n. 5 Pol. del 17 gennaio 1928, AUSSME, Fondo L-8, busta 175, fascicolo 1.
341 Tel. n. 50 del 28 febbraio 1928, ACS, FG, scatola 4, fascicolo 6, sottofascicolo 12: in un rapporto del
capitano pilota Vincenzo Biani, a proposito di una ricognizione sulla zona di Zella si legge: “[…] ol-
tre Zella 4.000 cammelli carichi et 200 persone fra massimo donne vanno verso sud stop Bombardati
efficacemente hanno appena passata la strada”.
342 Radiotel. n. 144 del 23 gennaio 1929, AUSSME, Fondo L-8, busta 158, fascicolo 6.
343 Consegnare le armi significava rimanere esposti non solo alle vessazioni dei duar ribelli, ma anche se
non soprattutto alle incursioni dei predoni che infestavano quelle zone. Si veda anche Mario Mon-
tanari, op. cit., pp. 120-121.
Capitolo seCondo

