Page 122 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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122 l’eserCito alla maCChia. Controguerriglia italiana 1860-1943
dalla parte di Roma andavano protette una volta disarmate, e in effetti furono numerose le
azioni di polizia finalizzate a perlustrare il terreno intorno agli accampamenti e a proteggere
il bestiame al pascolo “in modo da dare ai sottomessi tranquillità e sicurezza” . Chi però
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non consegnava le armi rischiava molto: l’accusa sarebbe stata di ribellione al governo e per
questa i comandanti delle colonne in perlustrazione erano autorizzati a procedere in modo
sommario .
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La popolazione veniva così a trovarsi in una posizione oltremodo scomoda: chi non
si fosse sottomesso sarebbe incorso nell’ira degli italiani, chi lo avesse fatto sarebbe stato
preso di mira dai ribelli, e Omar al-Mukhtar compiva feroci rappresaglie contro quelli
che giudicava traditori. Un notabile indigeno, sintetizzando alla perfezione la complessa
situazione, disse a Badoglio che i libici “erano ridotti alla condizione di aver schiaffi su di
una guancia dai ribelli, sull’altra dal governo” . La questione non era da semplice, le tribù
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che avevano accettato il dominio italiano, una volta disarmate, non erano più in grado di
resistere alle angherie degli insorti. Già nel 1928 il marchese Gaetano Paternò aveva segna-
lato che i guerriglieri compivano continue razzie ai danni dei sottomessi e continuavano a
raccogliere decime tra le popolazioni di frontiera, costringendole a migrare verso l’Egitto.
Omar al-Mukthar era del resto intenzionato a colpire duramente chi fosse entrato nell’or-
bita italiana, anche a costo di innescare nel Paese una profonda crisi . Ben sapendo che
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le truppe, impegnate in operazioni, non erano in grado di garantirne sempre e comunque
la sicurezza, nel 1930 Graziani scriveva di ritenere quello del civile “il più brutto mestiere
perché premuto da una parte dai ribelli e minacciato dall’altra dal nostro rigore” .
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Il generale aggiungeva poi che, agli occhi dei guerriglieri, i libici schieratisi con gli
italiani si erano macchiati di un crimine imperdonabile ed erano quindi oggetto di dure
rappresaglie. Graziani evidenziava alcuni aspetti importanti delle relazioni fra popolazione
e insorti: come si è già detto questi avevano in quella la loro fonte di alimentazione, anche
in termini di reclutamento, e un rifugio sicuro durante i rastrellamenti, quando non dove-
vano fare altro che entrare negli accampamenti mescolandosi agli abitanti e mostrando nel
caso le tessere di identità rilasciate dai commissari regionali. Hasan, figlio di Mohammed
Redà, aveva confermato l’esattezza di queste valutazioni dichiarando che quando le tribù
n. 9000 Ris. del 10 novembre 1927, ASMAI, Libia, Posiz. 122/31, fascicolo 286.
352 Tel. n. 5972 Ris del 7 settembre 1926, al Ministero delle Colonie, firmato dal governatore Mombelli,
ASMAI, Libia, Posiz. 134/27, fascicolo 204. Sempre in quella posizione ma al fascicolo 205 si veda
il tel. n. 8319, al Ministero delle Colonie firmato Teruzzi del 17 dicembre 1926. Qui si ammetteva
quanto fosse difficile la vita degli indigeni sottomessi, un tempo nomadi ora “costretti sotto ferrea di-
sciplina, fissati al territorio, censiti e controllati, rigorosamente razionati nei viveri, obbligati in angu-
sti limiti di semina e di pascolo […]”.
353 Direttive su questioni tattico-logistiche, tel. n. 9098 R.P. del 20 ottobre 1927, De Bono, ACS, FG, sca-
tola 5, fascicolo 6, sottofascicolo 21.
354 Lettera di Badoglio al Ministro delle Colonie del 1° luglio 1930, ACS, FG, scatola 8.
355 Brigantaggio senussita, tel. n. 965/244 del 20 aprile 1928 ai ministeri degli Affari esteri e delle Colonie
e al governo della Cirenaica, ASMAI, Affari politici, busta 1408, fascicolo rapporti politici.
356 La situazione generale politica, 1930, ACS, FG, scatola 9, fascicolo 12, sottofascicolo 4.
Capitolo seCondo

