Page 123 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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Il RegIo eseRcIto e le opeRazIonI dI polIzIa colonIale In afRIca (1922-1940)  123

              non potevano fornire uomini contribuivano alla causa col denaro e che ogni armato “viveva
              a carico della sua tribù”. La popolazione costituiva poi un efficiente servizio informazioni,
              e non era raro il caso di sottomessi, o presunti tali, che si arruolavano nei battaglioni libici
              per disertare al momento opportuno, passando al nemico con tutto l’armamento.
                 Simili riflessioni portano a chiedersi quale fosse il vero ruolo della popolazione in que-
              sto scenario, se vittima o protagonista. Bisogna partire dal presupposto che nella guerriglia
              la popolazione gioca sempre un ruolo fondamentale, in quanto gli avversari non si confron-
              tano in campo aperto su posizioni ben definite, ma danno vita a una serie di piccoli scontri
              scollegati fra loro e distribuiti sul territorio nei quali domina la tattica dell’imboscata. Il
              punto di vista delle due parti è ovviamente molto diverso, basti pensare che quello che per
              il governo italiano era brigantaggio, per i ribelli era il pagamento delle decime dovute alla
              confraternita, e a complicare le cose intervengono rivalità e odi di antica data. Secondo
              la logica degli imperi di tutti i tempi, e in linea con una prassi consolidata adottata in
              maggiore o minore misura da tutte le potenze coloniali, il vertice politico-militare ritenne
              che, scavando tra tribù e tribù quelli che Pritchard chiama furrows of blood, solchi di san-
              gue, il problema della pacificazione sarebbe stato risolto con relativa facilità . Il ministro
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              delle Colonie Federzoni, nel dicembre del 1927, nell’imminenza delle operazioni sul 29°
              parallelo e in seguito all’attacco di Omar al-Mukhtar a una tribù Braasa nei pressi del
              fortino di Slonta, sottolineò che la chiave della vittoria stava in una netta separazione fra
              i ribelli e la popolazione che, volente o nolente, foraggiava i mujahidin . Il solco andava
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              scavato attraverso una serie di passi: ritirare le armi alla popolazione e sostituire quelle
              degli irregolari per rendere inutile il contrabbando di munizioni, ridurre progressivamente
              il numero degli irregolari libici incrementando quello degli eritrei, adottare “verso le po-
              polazioni concentrate nelle zone indicate tutti quei provvedimenti intesi ad alleggerire i
              più gravi disagi, ma non allentare su di esse la pressione qualunque siano le conseguenze
              alle quali si può andare incontro” . Questa politica ebbe un certo successo, anche se gli
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              insorti continuarono a reclutare uomini da tutte le tribù, indipendentemente dalle tensioni
              interne, e ci vollero anni per capire che il modo di ragionare dei beduini era molto diverso
              da quello occidentale. I sottomessi, o mtalyanin, italianizzati, come li chiamavano i ribelli,
              collaboravano mantenendo un atteggiamento passivo, rifiutando cioè di prendere parte
              alla resistenza, e fornendo spie, guide e informatori che, però, se si presentava l’occasione,


              357 Il generale Mezzetti riteneva che nel solco scavato finissero con il cadere “il prestigio del Governo e
                 il lealismo di coloro che a proprie spese ne scontavano debolezze e incapacità” (Ottorino Mezzetti,
                 Guerra in Libia. Esperienze e ricordi, op. cit., p. 151). Analoga la posizione di Maletti quando afferma
                 che l’eventuale sottomissione pacifica della Cufra “Significa togliersi di sulle braccia gli Zueia, cioè
                 2-500 combattenti. Significa non scavare tra noi e i nuovi sudditi quel profondo solco di sangue che
                 lascia sempre la guerra coll’inevitabile strascico di rancori e d’odio. […] Significa infine molte diecine
                 di milioni di lire risparmiate all’Erario e forse molte vite umane risparmiate al sacrificio” (Situazione
                 politica attuale nella zona delle oasi e nella Cufra, tel. n. 368 dell’8 luglio 1928, ASMAI, Libia, Posiz.
                 150/12, fascicolo 47).
              358 Tel. n. 7803, al governatore della Cirenaica, firmato Federzoni del 16 dicembre 1927, ASMAI, Libia,
                 Posiz. 122/31, fascicolo 287 e ASMAI, Vol. III, Tripolitania-Cirenaica 1919-1928, Pacco L.
              359 Lettera di Badoglio al Ministro delle Colonie del 1° luglio 1930, ACS, FG, scatola 8.
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