Page 182 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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182                   l’eserCito alla maCChia. Controguerriglia italiana 1860-1943

           e che la razzie erano all’ordine del giorno .
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              Come combattevano i guerriglieri etiopi? In questo senso ci può venire in aiuto un testo
           del 1887, scritto dall’addetto militare in Egitto al capo di Stato Maggiore dell’Esercito che
           già era in grado di evidenziare alcune delle loro principali caratteristiche. Il primo aspetto
           ad essere sottolineato era il fatto che essi erano “tiratori abilissimi, camminatori instan-
           cabili, agili e svelti tanto da non essere trattenuti da nessuna asperità di strada alpestre o
           dirupata, si sparpagliano celermente in gruppi di pochi ed aprono il fuoco, mentre le orde
           retrostanti, avvalendosi con perizia poco comune di tutti gli ostacoli del terreno che pos-
           sono che possono schermirle dalla vista e dai colpi del nemico, cercano di spiegarsi alla più
           lesta in una larga linea concava verso le truppe nemiche” . I guerrieri venivano definiti
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           bravi, decisi, fedeli ai capi. In effetti, queste descrizioni, stilate alla fine dell’Ottocento, si
           sarebbero poi adattate ai guerriglieri del 1936, indifferentemente dal ceto sociale di prove-
           nienza. Tutti, ras, degiac, balambaras e persino semplici contadini, avrebbero combattuto
           senza tregua per quattro anni con un unico scopo: cacciare gli italiani.



           La popolazione

              Già nelle prime settimane dopo la nascita del tanto agognato impero apparve chiaro a
           chi operava sul territorio quanto fosse importante il ruolo della popolazione per una reale
           pacificazione dell’Etiopia. Tra i molti documenti conservati negli archivi c’è un telegramma
           proveniente dalla segreteria del Duce in cui una ventina di giorni dopo la presa di Addis
           Abeba si raccomandava che il comportamento di soldati e ufficiali fosse “sotto ogni aspetto
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           assolutamente irreprensibile” . Esso non era che l’ultimo di una lunga serie di analoghe
           raccomandazioni da parte del governo e dei comandi militari. Una circolare emanata da
           De Bono già il 25 aprile 1935 e indirizzata a tutti i reparti operanti in Africa Orientale era
           significativamente intitolata “Contegno verso la popolazione indigena. Relazioni con le
           autorità civili” e sottolineava la necessità di mantenere buoni rapporti con la popolazione
           dell’Eritrea, che in cinquant’anni di dominazione italiana “aveva dato indubbie prove di at-
           taccamento e fedeltà” e che altre avrebbero potuto darne in futuro, dato che una nuova bu-
           fera si stava addensando sull’Europa . Fondamentale era quindi il rispetto delle abitudini
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           locali, requisizioni e prestazioni d’opera forzate erano tassativamente proibite e nessuno
           doveva farsi giustizia sommaria per proprio conto. Nel novembre del 1935, a guerra inizia-
           ta, una circolare del I Corpo d’Armata firmata dal generale Santini ribadiva ulteriormente



           545 Ministero degli Affari Esteri, telespresso n. 214381 del 27 aprile 1936, AUSSME, Fondo N-11, busta
              1413.
           546 Sul modo di combattere dei sudanesi e degli abissini, 1887, firmato il capitano di cavalleria Carlo Sam-
              miniatelli AUSSME, Fondo L-7, busta 58, fascicolo 25. Ma si veda anche nel fascicolo 35, Carlo Mi-
              chelini, Studio sul modo di combattere degli abissini, Roma, Tipografia e litografia del comitato di Ar-
              tiglieria e Genio, 1887.
           547 Tel. n. 5834 del 24 maggio 1936, firmato Mussolini, AUSSME, Fondo D-5, busta 47.
           548 Circolare n. 250 del 25 aprile 1935, firmata De Bono, AUSSME, Fondo D-5, busta 60.

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