Page 183 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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Il RegIo eseRcIto e le opeRazIonI dI polIzIa colonIale In afRIca (1922-1940) 183
questi concetti: “[...] Non posso mancare di far osservare che purtroppo le lagnanze degli
indigeni sono continuate in ogni regione cui le truppe hanno sostato. Richiamandomi agli
ordini ripetutamente dati, intendo che vengano osservati il più scrupoloso rispetto per
le persone e la più rigorosa disciplina e confido che con l’azione energica dei comandi e
l’interessamento di tutti gli ufficiali cessino gli episodi che possono nuocere al buon nome
delle nostre truppe” .
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Santini si preoccupava che la disciplina venisse mantenuta sempre e comunque, come
dimostra chiaramente un’altra circolare di pochi giorni prima che vietava ai soldati di fare
acquisti di qualunque genere presso le abitazioni degli indigeni, disponeva che tutti i qua-
drupedi non appartenenti all’esercito fossero lasciati all’VIII gruppo salmerie del Corpo
d’Armata a Quihà e ordinava che i permessi dei soldati venissero concessi con buonsen-
so . Il problema era sentito: lo stesso Mussolini aveva parlato di una nuova era di civiltà,
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giustizia e progresso per le popolazioni dell’Etiopia, ma in qualche misura queste rimasero
solo parole, anche per le difficoltà associate alla gestione di un così imponente esercito in
una situazione ambientale difficile, come dimostrano le numerose lamentele pervenute ai
comandi. La circolare condannava soprattutto il fatto che alcuni soldati a caccia di trofei
si appropriassero di oggetti anche privi di valore, e questo non poteva non nuocere all’im-
magine delle truppe.
Anche De Bono, un mese prima dell’inizio del conflitto, in un comunicato dal titolo
“Condotta verso le popolazioni d’oltre confine” , scrisse che, una volta varcato il confine
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etiopico, le truppe si sarebbero dovute astenere da ogni atto di coercizione e violenza nei
confronti della popolazione, salvo nel caso di aperta ostilità. De Bono ben sapeva che qua-
lunque atto gratuito di violenza avrebbe peggiorato la situazione, le donne e gli averi dove-
vano quindi essere rispettati nel modo più assoluto, le requisizioni di viveri e quadrupedi,
se proprio necessarie, dovevano avvenire con il consenso dei capi-villaggio, non si doveva
infierire sui soldati etiopici e, a meno che la cosa non fosse imposta da necessità di ordine
tattico, non si dovevano occupare chiese, moschee e cimiteri. Non c’è dubbio che De Bono
credesse in ciò che scriveva, e lo testimonia un foglio, scritto di suo pugno, in cui vengono
precisati i criteri da seguire:
“1. Decisione inesorabile contro armati
2. Rispetto e umanità per popolazione inerme
3. Segnalazione immediata questo comando eventuale cattura ufficiali aut civili euro-
pei cui sorte sarà decisa volta per volta capo governo stop ”.
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Durante la guerra dei sette mesi i comandi italiani avevano chiaro quello che avrebbe
dovuto essere il comportamento delle truppe. Il console Alberto Piroli, della 1ª divisione
549 Gravi infrazioni alla disciplina e alla proprietà degli indigeni, del 18 novembre 1935, AUSSME, Fondo
D-5, busta 60.
550 Disciplina, 11 novembre 1935, AUSSME, Fondo D-5, busta 60.
551 Condotta verso le popolazioni d’oltre confine, 10 settembre 1935, AUSSME, Fondo D-5, busta 60.
552 Comando II Corpo d’Armata, 30 settembre 1935, AUSSME, Fondo D-5, busta 80.