Page 186 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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186 l’eserCito alla maCChia. Controguerriglia italiana 1860-1943
popolazioni che li sostenevano con la partecipazione attiva di uomini e donne oltre che con
aiuti materiali, quando trovavano in villaggi che non volevano saperne della loro causa le
cose andavano in modo molto diverso. Questo telegramma solo uno tanti sparsi nei diversi
fondi dell’archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito: “Un indigeno venuto
da Gimma riferisce che gli amhara concentrati ad Ermeta (6-8 km ad ovest di Giren) hanno
chiesto contribuzioni in danaro (20 talleri per persona) ed in natura agli abitanti. Questi
si sono opposti con le armi e ne è scaturito un combattimento nel quale gli abitanti hanno
avuto la peggio. Gli amhara hanno bruciato circa 1000 case e razziato molto bestiame. Gli
stessi amhara sono alle dipendenze dei seguenti capi: Tanna, Sascia, Cassa Abbacau, Zellecà
Abbojè; dispongono di 2 cannoni e di 12 mitragliatrici” .
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Non era affatto raro che le truppe italiane si trovassero a prendere le parti della popo-
lazione: i secolari dissidi tra le varie etnie e la pratica quotidiana del brigantaggio creavano
parecchie tensioni e gli italiani erano chiamati ad intervenire per portare giustizia, pare
strano a dirsi, e sedare gli animi . Non era nemmeno raro che interi villaggi si spostassero
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insieme alle truppe nella speranza di trovare finalmente protezione.
Gli italiani, soprattutto dopo l’attentato a Graziani, optarono per una politica che non
lasciava spazio a compromessi, una politica dura anche nei confronti del clero, ma va detto
che guerriglieri e briganti non erano da meno: sono molti i telegrammi che testimoniano la
loro furia tanto contro la popolazione quanto contro i rappresentanti della chiesa copta .
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Questo è uno stralcio di una comunicazione di servizio indirizzata a Graziani, che dimostra
quanto fosse complessa la situazione e quali difficoltà la popolazione etiopica dovesse af-
frontare: “[...]Più fonti affermano che le popolazioni indigene dell’interno sono disorienta-
te. Sono soggette alle razzie dei ribelli, a quelle delle nostre truppe di colore, alle distruzioni
dei tukul per opera dei nostri reparti perché sospettate di aver dato asilo ai ribelli. Sta di
fatto che non sono in condizioni di reagire contro i ribelli e lamentano che i nostri reparti
non considerano la difficile situazione in cui viene a trovarsi la popolazione. Coloro poi che
si ritengono ingiustamente puniti spesso passano ad ingrossare le fila ribelli. Degno di nota
che alcuni capi ribelli – per evitare le ostilità delle popolazioni – si astengono dal compiere
razzie e preferiscono acquistare gli oggetti che abbisognano” .
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L’occupazione italiana in Etiopia è stata dura quanto altri regimi coloniali, non ci si è
certo distinti per particolari doti diplomatiche e umanitarie, come si è cercato di far cre-
dere fino agli anni Sessanta, ma a onor del vero va detto che neppure gli insorti diedero il
625. Si veda anche D-6, DS 46, tel. n. 20327 firmato Princivalle del 7 agosto 1936, che recita fra l’al-
tro: “Si accentua la stanchezza delle popolazioni per le continue ruberie da parte dei briganti e degli
armati al seguito dei capi ribelli. I paesani dei territori di Akaki e Jerer avrebbero fatto sapere al degiac
Ficremariam che se egli tornerà presso di loro, essi faranno ogni tentativo per consegnarlo al Gover-
no Italiano. Tutti invocano l’arrivo delle nostre truppe: uguale notizia hanno portato indigeni venuti
dallo Sciancorà, da M. Jerer, da M. Ghirmiè, dal Liben, dalla zona di M. Furi e dal Soddo”.
567 Tel. n. 20333 dell’8 agosto 1936, firmato Princivalle, AUSSME, Fondo D-6, DS 46.
568 Tel. n. 50562 del 29 ottobre 1937, firmato Graziani, AUSSME, Fondo D-6, DS 71.
569 Tel. n. 4428 dell’8 settembre 1937, firmato Pirzio Biroli, AUSSME, Fondo D-6, DS 67.
570 Comunicazione n. 0036 del 21 settembre 1937 firmata Bocca, AUSSME, Fondo D-6, DS 68.
Capitolo seCondo